QUANDO CAPITA

Martedì – III settimana del Tempo di Pasqua

Per convertirci alla Pasqua dobbiamo diventare capaci di contemplare, cioè di accedere a una visione della realtà illuminata dal vangelo e infiammata dall’ardore dello Spirito Santo versato nei nostri cuori. Contemplare è quanto riesce a fare il diacono Stefano, proprio nel momento in cui la sua storia diventa dolorosa passione.

«Ecco, contempo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio» (At 7,56)

Ma è anche ciò che il Signore Gesù propone di fare ai suoi distratti seguaci i quali, dopo aver partecipato alla miracolosa mensa dei pani e dei pesci, sembrano ancora bisognosi di motivi per affidarsi. 

«Quale segno dunque tu compi perché vediamo e ti crediamo?
Quale opera fai?» (Gv 6,30)

Con la parola contemplazione, la spiritualità cristiana non fa riferimento a un’esperienza misteriosa e privilegiata di incontro con il Dio invisibile. Più semplicemente — e più profondamente — si allude alla capacità di riconoscere quegli invisibili legami che uniscono la nostra storia al mistero della morte e risurrezione del Signore Gesù. Per rendere il nostro sguardo così acuto e penetrante, il primo vizio da bandire è quello della nostalgia, con cui troppo (facilmente) ci intratteniamo.

«I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto:
“Diede loro da mangiare un pane dal cielo” (6,31)

Guardare indietro e considerare il passato migliore del presente è la forma più ordinaria con cui opponiamo resistenza allo Spirito, col rischio di non riconoscere più quale e quanto sia il pane che Dio ci dona invece nel giorno che viviamo. 


«In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi dà il pane del cielo, quello vero.
Infatti l pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo» (6,32-33)

Ecco, forse qui sta il problema: il pane c’è — e se volessimo provare a con-dividerlo sinceramente sarebbe pure sufficiente per tutti — ma noi siamo veramente disposti a mangiarlo? Desideriamo sul serio consumare e diventare il pane, quello vero, che ci trasforma in fragrante carità, cioè in uomini e donne capaci di donare lo spirito e il perdono? Non quando vorremmo noi. Ma quando capita.

E lapidavano Stefano, che pregava e diceva: «Signore Gesù, accogli il mio spirito».
Poi piegò le ginocchia e gridò a gran voce:
«Signore, non imputare loro questo peccato». Detto questo, morì (At 7,59-60)

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