CREDERE ALL'AMORE

II Domenica di Pasqua – Anno C

Nei giorni della quaresima ci siamo ritirati nel deserto insieme al Maestro Gesù, per guardare in faccia le tentazioni che ci abitano, per fare il punto sulla nostra vita. Abbiamo provato a pregare con più fedeltà, ad ascoltare con più distacco impulsi e desideri, a coltivare la generosità nei confronti del prossimo. Poi, nella settimana Santa, ci siamo immersi mistero dell’amore di Dio, che è una meraviglia ai nostri occhi perché ha sconfitto la morte (cf. Colletta) ed è per sempre (cf. salmo responsoriale). Siamo giunti così alla festa di Pasqua, il grande giorno fatto dal Signore, la cui gioia ora bussa alla nostra porta per entrare e cambiare — ancora una volta — la direzione della nostra vita. 

Regalo
Ma non è così facile per il Risorto introdurci in una vita nuova, strapparci dalle paure e dalle solite traiettorie con cui così facilmente ci impaludiamo. Non lo fu nemmeno per i primi discepoli, testimoni pavidi e autentici della risurrezione di Cristo dal sepolcro. Erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano, scrive Giovanni, la sera di quel giorno (Gv 20,19) nel quale il Crocifisso era risorto, diventando il Primo e l’Ultimo e il Vivente (Ap 1,17-18). Seppelliti dentro un grande timore (Gv 20,19), i discepoli avevano certamente il cuore a pezzi, dilaniato dal dolore per la scomparsa del Maestro e dal senso di colpa per averlo abbandonato e tradito proprio nell’ora della prova. In quel preciso momento, venne Gesù, senza sfondare alcuna porta, violando soltanto il regno della tristezza con un inatteso saluto: Pace a voi! (20,19). Mostrando, senza alcuno spirito di rivalsa , le mani e il fianco (20,20), il tatuaggio del male ricevuto. Possiamo solo immaginare quale big bang sia avvenuto nel cuore smarrito dei discepoli, privi di Giuda — colui che era stato amato fino alla fine — e di Tommaso — troppo distrutto per restare in compagnia degli altri. Una felicità improvvisa, capace di  scaldare ed emozionare: E i discepoli gioirono al vedere il Signore (20,20). Il regalo di una pace ormai non più sperata. 

Compito
Ma non si incontra il Risorto senza risorgere. Non si entra nel regno di Dio senza assumere un servizio da svolgere per la sua necessaria edificazione. Gesù disse di nuovo: Pace a voi! Come il padre ha mandato me, anche io mando voi (20,21). Altro che sensi di colpa e melanconiche depressioni! I discepoli vengono subito assolti dalle loro infedeltà e riconfermati apostoli. Il Signore non si mette a scegliere persone più coraggiose e capaci, ma affida nuovamente ai suoi amici il compito di essere testimoni del suo amore davanti al mondo. Anzi, chiede loro di diventare amministratori di questo perdono ricevuto e non meritato: Soffiò e disse loro: ‘Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati’ (20,22-23). Con estrema semplicità il Signore affida alla chiesa nascente la responsabilità di mostrare agli uomini il volto misericordioso del Padre. Che non è anzitutto un potere, ma un servizio, di straordinaria efficacia, secondo gli Atti degli Apostoli: Sempre più venivano aggiunti credenti al Signore, una moltitudine di uomini e di donne... malati e persone tormentate da spiriti impuri, e tutti venivano guariti (At 5,14.16).

Cammino
Non tutti, però, entrarono subito in questa gioia e in questo servizio. Tommaso, uno dei Dodici , chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù (20,24). Lui, Tommaso, ci aveva creduto tanto nel luminoso Rabbì di Nazaret. Forse anche più degli altri, disposto a mettere a repentaglio la propria vita quando i Giudei tramavano di uccidere Gesù (cf. 11,16), capace di ascoltare e interrogare le parole più difficili del Maestro: Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via? (14,5). Poi la croce, il sepolcro, il silenzio; la fine di ogni sogno e di ogni speranza. Tommaso non voleva più credere, neanche davanti all’entusiasmo dei suoi compagni: Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo (20,25). Quanto gli assomigliamo noi tutti! Noi che facciamo fatica a sorridere ancora, dopo che una ferita, un tradimento, un imprevisto hanno tolto serenità ai nostri giorni. Noi che talora sentiamo il bisogno di nasconderci per fare il nostro personale e sofferto cammino di presa di coscienza di quello che ci è avvenuto o che ci sta capitando. Noi affaticati da una vita che sembra non compiersi mai, scandalizzati dalla testimonianza di una Chiesa che canta Alleluia senza gioia. Noi che però abbiamo anche una invincibile capacità di tornare alle cose semplici e vere, di togliere gli abiti del lutto. Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso (20,26). Allora il Signore torna per incontrare il discepolo ancora prigioniero del suo dolore. Tommaso hai sofferto? Anch’io: Metti qua il tuo dito e guarda mie mani; stendi la tua mano e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente! (20,27). Tommaso risorge: Mio Signore e mio Dio (20,28). Tommaso arriva per ultimo, ma sorpassa tutti. Primo tra i discepoli si appropria del Risorto, ricordando ai discepoli di ogni tempo che la salvezza è anche evento personale, individuale e sofferto percorso dalla tristezza alla gioia. Che la Pasqua è questione di amore. Non basta conoscerla, bisogna accoglierla in mezzo alle tenebre, per poi risorgere alla luce di un nuovo giorno. 

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