RICONOSCERE

Lunedì – IV settimana del Tempo di Quaresima

Oggi siamo invitati a sottoporre a revisione una frequente attività della nostra psiche. Si tratta dell’abitudine a intrattenerci con il ripensamento, il ricordo doloroso e sterile di quello che nella vita abbiamo scelto oppure è semplicemente capitato, capace di generare in un solo istante un’infinita e invincibile tristezza. Il profeta Isaia annuncia la possibilità di volgere il cuore e la mente a un tempo diverso, non segnato dai nostri errori, ma dalle promesse di Dio. 

«Ecco, io creo nuovi cieli e nuova terra; non si ricorderà più il passato, non verrà più in mente,
poché si godrà e si gioirà sempre di quello che sto per creare,
poiché creo Gerusalemme per la gioia, e il suo popolo per il gaudio» (Is 65,17-18)

Anziché restare incagliati nella secca del nostro cuore, dove abitano ancora «voci di pianto, grida di angoscia» (65,19)), siamo invitati a compiere il gesto della preghiera, l’ascolto attento della parola di Dio che ci consegna un motivo più che valido per non essere più prigionieri del passato che ci rimprovera e del futuro che ci inquieta. Nonostante l’evidenza — talora così segnata dal male e dal caos — Dio stia portando a compimento i suoi progetti di vita e di amore per il mondo.

«Non ci sarà più un bimbo che viva solo pochi giorni, 
né un vecchio che dei suoi giorni non giunga alla pienezza» (65,20)

Certo non è facile affidarsi a una parola che Dio ci rivolge sempre in forma mediata. Eppure proprio nella capacità di ascolto e di conversione si misura la nostra fiducia effettiva nel Dio che trasforma la realtà senza troppi segni e prodigi (Gv 4,48), ma trasformando continuamente la morte in vita, con la stessa premurosa delicatezza con cui un giorno aveva cambiato l’acqua in vino (4,46). La Quaresima è sempre l’occasione di convertire la nostra attitudine allo scoraggiamento in atteggiamento di fede, assimilando e interpretando i segni poveri ma mai assenti del mistero pasquale presenti nella realtà. Il funzionario del re (4,46) rappresenta un modello semplice ed autentico di questa desiderabile fede, perché nel buio della sua personale afflizione, non esita a compiere il gesto dell’affidamento, ascoltando la voce del Signore e quindi verificandone con la propria libertà l’autorevolezza.

«Quell’uomo credette alla parola che gli aveva detto Gesù e si mise in cammino» (4,50)

Credere significa camminare a causa di una parola di speranza che Dio ha rivolto al nostro orecchio e che ha raggiunto le profondità del nostro cuore in attesa e in ricerca. Più semplicemente significa riconoscere la realtà — quindi anche il passato e il futuro — non più come il palcoscenico dove si va consumando il tragico fallimento dei nostri sogni, ma come il luogo dove si sta realizzando il regno di Dio. 

Il padre riconobbe che proprio a quell’ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive»,
e credette lui con tutta la sua famiglia (4,53)

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