A FARI SPENTI

Conversione di san Paolo

Il ricordo della conversione dell’apostolo Paolo, entrato tardivamente (X sec.) nelle feste del calendario romano, offre all’intera comunità cristiana l’occasione di meditare su quella trasformazione che lo Spirito del Risorto vuole compiere nella vita di «ogni creatura» (Mc 16,15) battezzata nel suo nome. Mentre siamo piuttosto inclini a pensare che la conversione sia un cambiamento di vita forte e improvviso, riservato a persone speciali, l’esperienza di Paolo ci restituisce l’immagine di un misterioso processo che attende di realizzarsi nel cuore di ciascuno.

L’episodio cruciale di questo itinerario — raccontato ben tre volte nel libro degli Atti e una nella lettera ai Galati — avviene per Saulo lungo la via di Damasco, dove egli si sta recando per «condurre in catene a Gerusalemme» tutti i discepoli del Signore «che avesse trovato, uomini e donne, appartenenti a questa Via» (At 9,2). Il fariseo Paolo, pieno di «zelo per Dio» (22,3) e di convinzione in ciò che sta facendo, si trova all’improvviso «a terra» accecato da «una luce dal cielo» (9,3), mentre una voce lo costringe a rintracciare le motivazioni del suo andare «spirando minacce e stragi» nel nome di Dio: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» (9,4). La grazia del Signore interviene nel futuro apostolo delle genti sotto forma di luce che ottenebra la sua vista: «Saulo allora si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla» (9,8). 

Anche ciascuno di noi non può entrare nel dinamismo della conversione se non a fari spenti, poiché il rovesciamento interiore suscitato dallo Spirito non è tanto il passaggio dal peccato alla grazia, ma una migliore messa a fuoco sul volto di Dio, che si traduce poi in uno sguardo rinnovato sulla realtà. Prima di indicarci un nuovo cammino da percorrere, il Signore ha bisogno di distruggere ogni falsa immagine di lui che abita il nostro cuore, accompagnandoci verso l’indispensabile domanda: «Chi sei, o Signore?» (9,5). Soltanto dopo aver accettato la distruzione del cuore che si crede giusto, e aver contestato l’autenticità dello zelo in cui spesso si nascondono fobie e narcisismi, possiamo essere colmati di «Spirito Santo» (9,17) e diventare uno «strumento» nelle mani di Dio, disposto anche a «soffrire» (9,16) a causa del «Vangelo» (Mc 16,15).

Di fronte a questo inatteso sconquasso interiore, Paolo non può fare nulla se non lasciarsi guidare «per mano» (At 9,8) dagli altri, fino a saper riconoscere nei fratelli la voce di Dio: «Saulo, fratello, mi ha mandato a te il Signore, quel Gesù che ti è apparso sulla strada che percorrevi, perché tu riacquisti la vista e sia colmato di Spirito Santo» (9,17). La direzione del viaggio non muta; Paolo giungerà a Damasco, dove si stava già recando. La realtà avrà però contorni diversi ai suoi occhi. Non più quelli di una terra piena di nemici da «arrestare» (9,14), ma una comunità di fratelli a cui portare l’annuncio della salvezza: «Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato» (Mc 16,16).

Anche per noi, sicuramente chiamati a un’esperienza meno singolare di quella vissuta dell’apostolo Paolo, la conversione deve diventare un continuo moto di salvezza, attraverso cui l’illusione di essere giusti, cede il posto alla gioia di essere salvati. Esporsi coscientemente al rischio di questo rovesciamento, talmente indispensabile da essere oggi celebrato come una festa liturgica, è il solo modo per «essere testimoni della verità» e «camminare sempre nella via del Vangelo» (cf. Colletta). Come amava dire padre A. Louf: «Fuori dalla conversione siamo fuori dall’amore e lontani dal vero Dio».

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