ROBA DA UOMINI

Santo Stefano

Le celebrazioni e le preghiere di questi giorni ci hanno ricordato che essere uomini, alla luce del mistero dell’Incarnazione del Verbo, è decisamente roba da Dio. Non una piccola crociera, riconducibile a modeste misure di benessere e tranquillità. La scelta libera e definitiva con cui Dio ha assunto la carne della nostra fragile umanità è piuttosto un grido che, attraverso i secoli, ha attirato in alto l’animo di tanti uomini e donne che hanno preso il vangelo come misura del loro esistere. La festa di santo Stefano, diacono e primo martire del Signore Gesù, non viene a guastare le feste natalizie, ma a garantirne la giusta interpretazione. A dirci che, da quando il cielo ha scoperto le sue carte, essere come Dio è roba da uomini, meraviglioso destino a nostra piena e definitiva libertà di scelta. 

Allora, gridando a gran voce, si turarono gli orecchi e si scagliarono tutti insieme contro di lui,
lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo (At 7,57-58).

Prima di essere icona della sofferenza e del male presenti nel mondo, il sangue del primo martire cristiano afferma — silenziosamente — che la vita ha senso solo e quando è liberamente offerta per amore. Infatti, proprio quando giunge a rinunciare a se stessa, l’esistenza umana produce il suo fiore ed emana il suo profumo. Ecco il senso di questo strano ossimoro liturgico, l’accostamento apparentemente inopportuno di una nascita e di una morte, a ricordarci che l’Incarnazione non è solo la manifestazione di un’immensa volontà di amare, ma anche di una rocciosa disponibilità a soffrire. Ma il martirio è autentico solo quando nasce e si compie nell’amore che perdona. 

E lapidavano Stefano, che pregava e diceva: «Signore Gesù, accogli il mio spirito».
Poi piegò le ginocchia e gridò a gran voce: «Signore, non imputare loro questo peccato» (7,59-60).

Il martirio non è l’improvvisato eroismo di un giorno, ma il naturale frutto di un cammino nel quale si sperimenta e si rimane fedeli alla gioia di assumere la vita come servizio e dedizione agli altri. A nulla valgono i tentativi di stringere i denti per rimanere attaccati ai rancori e, al contempo, mostrarsi gentili agli occhi degli altri. Il vangelo ci incoraggia a non avere paura dei momenti in cui l’amore ci restituisce rifiuto e incomprensione. Perseverare nel bene è l’unica fedeltà che, in fondo, ci è chiesta per accogliere la vita senza sconti e senza rinunce. Come roba, assolutamente, da uomini. 

«Sarete odiati da tutti a causa del mio nome.
Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato» (Mt 10,22).

Commenti