RISPETTO

Lunedì — I settimana di Avvento
Il “rispetto” non è certo il sostantivo più in voga nella società dei consumi e dei diritti. Avvezzi ormai ad acquistare e conquistare, a possedere e accumulare, stiamo perdendo l’abitudine a guardare in faccia — e poi nel cuore — le cose, per ascoltare e scoprire pazientemente anche il loro significato profondo. La voracità e la velocità che scandiscono i tempi moderni ci conducono purtroppo ad avere poco rispetto per le cose della terra. Figuriamoci quelle del cielo. Non sempre facciamo così con cattiveria o intenzione. Il più delle volte siamo distratti, appesantiti, saturi. Il rispetto, infatti, non ha a che fare con la morale ma con la vista (dal latino specio, “vedere”). Anzi, con la capacità di (ri)volgere lo sguardo alle cose per poterle e saperle incontrare nella verità. Ecco perché le letture feriali dell’Avvento iniziano con un’impennata di sguardo, con una «visione» che vuole destare lo stupore nei confronti dei sogni di Dio per l’uomo.  

Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà saldo sulla cima dei monti 
e s’innalzerà sopra i colli e ad esso affluiranno tutte le genti (Is 2,2).

Difficile credere che nel futuro ci possa essere qualcosa di saldo e universale, di questi tempi. Eppure proprio qui si pone l’avventura della fede, nel prestare ascolto a cose inaudite, nel fidarsi di promesse che ci superano. Lo conferma il vangelo, dove Gesù e un centurione si trovano a coniugare con estrema naturalezza i verbi di moto utili all’Avvento.

In quel tempo, entrato Gesù in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava 
e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente».
Gli disse: «Verrò e lo guarirò» (Mt 8,5-7).

Per andare incontro al Signore che — sempre — viene, la prima cosa che ci serve è abbandonare i sospetti e ritrovare rispetto e riverenza nei suoi confronti. Talmente abituati a credere che Egli ci sia o che sia assente, a pregarlo distrattamente con la mente e senza il corpo. Così tragicamente scientifici e razionali “di fronte” a lui, anziché appassionati e intimi “in” lui, di cui siamo corpo, sciupiamo il tempo della preghiera per tentare di capire una vita che, come un seme chiamato a morire e germogliare, può solo farci intuire il brivido di eternità a cui siamo chiamati. Non può certo spiegarcela o mostrarcela. Per questo non serve altro per iniziare l’Avvento, se non un cuore disposto ancora a stupirsi. Con rispetto. 

Commenti