LEGGERI

I Domenica di Avvento — Anno C

Ci risiamo: è ancora Avvento. Il calendario liturgico ci offre una manciata di settimane da vivere con speciale intensità, un’occasione per volgere il nostro sguardo al mistero del Natale di Cristo. L’Avvento è un tempo che ci insegna ad aspettare quel Signore che è già venuto, ma che verrà ancora alla fine dei tempi, per consegnare il regno di Dio nelle mani del Padre. È un tempo breve e bello, indispensabile per ricordarci che non siamo criceti affannati, in corsa su una ruota che gira lasciandoci sempre fermi nello stesso punto. Siamo viandanti in cammino verso un meraviglioso orizzonte. Verso un volto. 

Senza pesi
Ma intanto all’orizzonte si vedono solo minacce e catastrofi! Già è vero, infatti il Maestro proprio di questo scenario cupo parla ai suoi discepoli: «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli saranno sconvolte» (Lc 21,25-26). Guardare in avanti e attendere la venuta di Dio significa incrociare lo sguardo con tutte le cose che, in questo mondo, minacciano il corso della nostra vita. Malattia, morte, imprevisti, sconvolgimenti della terra, paura e insicurezza, la pesante crisi economica: è la cronaca dei giorni che viviamo e di quelli che ci attendono. Lo sguardo acuto del Signore propone però un inatteso epilogo: «Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina» (21,28). Ecco il primo imperativo dell’Avvento: rimettersi in piedi e alzare lo sguardo, recuperare una posizione eretta, lucida, ottimista. Poi il Maestro aggiunge: «State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso» (21,34). Dopo averci rialzato, l’Avvento vuole metterci davanti a noi stessi, costringendoci a misurare quanto colesterolo c’è nel nostro spirito. Nella vita spesso dissipiamo energie correndo dietro a favole, ci ubriachiamo di sogni e di progetti futili, ci affanniamo cercando di dominare tutto e tutti, addomesticando l’impeto della vita anziché accogliendo il suo misterioso disegno. Ma non si può attendere nessuna novità quando il cuore è gonfio e stanco; tutto ci piomba addosso improvvisamente come una scocciatura, se non come una condanna. Spesso siamo troppo presenti, troppo attenti sul momento che viviamo, troppo collegati all’organo delle emozioni e ci dimentichiamo che la vita va affrontata anche in funzione di quello che verrà. Non oggi, ma domani.

Svegli
Come? «Vegliate in ogni momento pregando» (21,36) consiglia Gesù. Se davvero siamo disposti a smettere di fare pericolose scorpacciate di suoni, occasioni e informazioni, possiamo imparare a rimanere svegli. Vegliare significa proprio questo: riconoscere il bene che c’è, intuire quello che siamo chiamati a fare, leggere il tempo come un’occasione sempre utile per «crescere nell’amore» (1Ts 3,12) e «progredire ancor di più» (4,1) nell’avventura della vita. Per vegliare bisogna pregare sempre, cioè non stancarsi mai di chiedere aiuto, di riconoscerci deboli di fronte allo sguardo paziente del Signore e alle sue «promesse di bene» (Ger 33,14). Quando siamo intontiti e iperattivi invece perdiamo il senso della realtà, sopravvalutiamo noi e sottovalutiamo gli altri, nervosamente incapaci di accettare né il nostro limite né le condizioni continuamente dettate dalla realtà. Il gesto della preghiera ci rende nuovamente disponibili ad affrontare le cose proprio a partire dalla nostra fragilità e dalla precarietà della vita umana.

In piedi
Perché? «Perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo» (Lc 21,36). Molte delle cose che ci vengono incontro, pur sembrando belle e desiderabili, non sono affatto buone, almeno per noi. Purtroppo spesso non abbiamo la lucidità di rifiutarle, talmente abituati a coltivare inutili attese, sogni infantili, cose che non avrebbero il diritto di dimorare troppo a lungo nel nostro cuore. E invece sono il nostro inaffidabile timone, che ci porta alla deriva. Altre volte invece ci passano accanto occasioni d’oro, persone e avvenimenti che potrebbero cambiate il colore dei nostri giorni. E non ce ne accorgiamo, perché siamo ricurvi, spenti, a terra. L’Avvento ci invita a rimetterci in piedi, a spalancare le porte del cuore. Non davanti all’opinione comune, alle attese che gli altri hanno su di noi. Non davanti alle ferite e agli incubi, ma agli occhi di Dio che sono l’unico vero specchio di ciò che la nostra umanità è chiamata a diventare. Avere la forza di stare in piedi davanti a lui, nella nostra verità, significa accettare la chiamata a una vita piena, riacciuffare il sogno di cose grandi e belle. L’Avvento serve a questo: rimettere i nostri occhi davanti a quelli del Verbo di Dio fatto uomo, per imparare a reggere il suo sguardo. Poveramente, come possiamo. Sinceramente, provando a seguirlo e a fare la sua volontà. Leggeri.

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