LA GIOIA DI CREDERE


Per spalancare, ancora una volta, «la porta della fede» al Natale del Signore manca al mosaico d’Avvento un’ultima, preziosa tessera, che dà il senso a tutto l’itinerario compiuto in questo tempo forte. Ce la regala quest’ultima domenica, nella quale proviamo a fare un tuffo dentro il cuore in festa di Maria, la giovane donna che per prima ha saputo offrire perfetta accoglienza alla gioia del Vangelo.

Piccoli
Era scritto — forse non con l’evidenziatore — nei Profeti: «E tu, Betlemme di Èfrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore di Israele» (Mi 5,1). Il Messia doveva nascere in una piccola borgata, famosa solo per aver dato i natali a Davide, il piccolo pastore divenuto l’indimenticabile re di Israele. A Dio, in effetti, piace fare così: scegliere le cose e le persone piccole, che più facilmente si aprono al dono e si lasciano trasformare. Fin «dai giorni più remoti» (5,1), il Signore chiama l’uomo a cooperare al mistero della creazione, chiedendogli la disponibilità a essere e diventare sorgente di vita. Purtroppo la nostra società ha fatto precipitare in fondo alla lista dei “preferiti” il naturalissimo progetto di trasformare l’esperienza dell’innamoramento e dell’amore — due cose assai diverse — in una famiglia. La moda, il benessere, le immense opportunità di viaggiare e di realizzarsi sono gli idoli correnti che stanno modellando una società a “ventre piatto”, così libertina da ignorare che un feto, anche quando non gonfia ancora la pancia, è già una vita umana, amata da Dio e creata per l’eternità. Intanto Dio non demorde, continuando a credere in noi più di quanto noi siamo capaci di fare e di manifestare. In fiduciosa e perpetua attesa che «colei che deve partorire» (5,2) — la nostra responsabilità di uomini e donne — finalmente concepisca e dia alla luce vita, che la nostra umanità raccolga finalmente la sua vocazione a servire, anziché rincorrere continuamente comfort e prestigio. 

Corpi
Certo, prima di poterci vedere come un grembo è necessario accettare il fatto di essere un corpo, maturare uno sguardo serio e sereno sulla nostra vita. Oggi viviamo tutti una certa difficoltà ad accogliere la nostra corporeità, cioè la nostra dimensione più storica e concreta. I ritmi forsennati a cui siamo costretti sembrano imporci stili di vita che, se non arrivano a essere disumani, sono almeno inumani, nel senso che travolgono le leggi fondamentali del nostro essere creature. Quelle leggi a cui persino Dio — attraverso l’Incarnazione — ha voluto assoggettarsi. E invece noi, quando siamo sotto pressione, iniziamo a vedere proprio il cielo come un tetto ostile, che ci impone «sacrifici» e «olocausti» (Eb 10,6) assurdi, anziché esaudire i desideri del nostro cuore. L’autore della lettera agli Ebrei capovolge questa deformata visione della realtà, spiegandoci il motivo per cui Cristo è entrato «nel mondo» (10,5). Perché la sua umanità, generata dalla sensibilità di Maria, portava con sé questa fiducia nei confronti di Dio: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. [...] Allora ho detto: “Ecco, io vengo”» (10,5.7). Soltanto quando arriviamo a comprendere questo — che Dio stia totalmente dalla nostra parte — diventiamo capaci di spalancare nuovamente le porte al Cristo che viene, camminiamo verso il suo Natale. 

Felici
Come ha fatto Maria, che ha offerto gioiosamente la propria corporeità alla volontà di Dio, diventando «cantico di lode» (cf. Colletta) dell’umanità ferita dal peccato originale. Dopo aver accettato la sconcertante proposta di Dio, superando dubbi e paure, Maria appare piena di felicità. E corre, «in fretta» (Lc 1,39), per condividere questo esubero di vita con Elisabetta, sua anziana parente. Accade proprio così quando la fede ci raggiunge e ci colma: facciamo le cose con premura e amore, diamo attenzione e sollecitudine a tutto e a tutti, soprattutto alle cose piccole che di solito trascuriamo. Ci prendiamo cura della realtà, così come il Signore si è preso cura della nostra povertà. Dopo aver ricevuto il saluto di Maria, Elisabetta comincia a parlare mossa dallo Spirito Santo: «Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beta colei che ha creduto ci sarà un compimento per le cose che il Signore le ha detto» (1,44-45). Ecco il segreto di Maria, ecco la gioia del Natale! L’umile fanciulla di Nazaret è divenuta grembo di Dio perché ha creduto a ciò che ha ascoltato, ha preso sul serio gli indizi a sua disposizione interpretandoli come volontà di Dio. Qui — sempre e solo qui — si trova l’unica vera felicità che possiamo sperimentare in questo mondo. Non nel raggiungimento dei nostri obiettivi, non nella perfetta realizzazione dei nostri sogni, ma nello scoprire e poi accogliere la chiamata di Dio dentro la trama dei nostri giorni. Il problema è che abbiamo perso l’abitudine di pensare alla vita come un dono da accogliere, piuttosto che una gagliarda occasione per primeggiare, un’affannosa caccia al tesoro. Prepararsi al Natale significa riattivare i canali del nostro ascolto. Fermarsi, fare silenzio, imparare a leggere le cose in profondità, fino a vederle come tessere di un disegno di Dio. Aprirsi alla logica dell’incarnazione significa guardare con stupore i sentieri interrotti, le domande senza risposta, le scelte non ancora raggiunte e credere che dietro a ognuna di queste cose ci sia la voce di Dio che vuole dialogare con la nostra libertà. Quindi riflettere, meditare, affidarsi e scegliere. Poi sorridere, perché ce la faremo. «Per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo», Dio è con noi «per sempre» (Eb 10,10). 

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