FAMIGLIA SANTA

Santa Famiglia

La festa odierna è un prolungamento della celebrazione natalizia. Dio ha voluto incarnarsi pienamente nella nostra umanità, è cresciuto all’interno di una ordinaria famiglia, indicando in tal modo che quaggiù — dalle nostre parti — abita il mistero di una vita divina. Guardando con attenzione i rapporti familiari vissuti da Gesù, Giuseppe e Maria, ci è possibile scoprire «un vero modello di vita» (Colletta) che può aiutarci a costruire «lo stesso amore» nella famiglia o dentro la comunità che il Signore ci ha donato. 
Luoghi non comuni
La liturgia della Parola, però, in qualche modo ci spiazza, perché non ci presenta quelle virtù di unità e concordia a cui viene spontano pensare e che talvolta rischiano di diventare stucchevoli luoghi comuni. Del tipo: in una buona famiglia deve regnare la pace, il dialogo, il rispetto reciproco, non ci devono essere liti, incomprensioni, ferite. Il vangelo ci presenta il profilo di una nucleo familiare a cui non sono risparmiate affatto esperienze amare e drammatiche. Nel racconto di Luca, scopriamo che la santa famiglia è un luogo dove il figlio può prendere una strada diversa da quella dei genitori senza che questi se ne accorgano (Lc 2,43). È una famiglia dove i genitori credono che il figlio sia con loro mentre egli sta già sviluppando la sua vita e la sua autonomia e non è più «tra i parenti e i conoscenti» (2,44). Cioè il figlio non è più tra le cose note ai genitori, comincia ad essere mistero e vita più grande di quella che essi possono conoscere. La santa famiglia diventa così un luogo dove i genitori devono mettersi in una faticosa e lunga ricerca, in un cammino segnato persino dall’angoscia, senza peraltro arrivare a capire fino in fondo la vita che nel figlio si sta manifestando: «Essi non compresero le sue parole» (2,50). 

Luogo di dialogo
Il vangelo descrive altri aspetti di santità familiare che compendiano questa prima immagine. Gesù viene fotografato nel tempio in un atteggiamento di profondo e proficuo dialogo con i sapienti di Israele: «Dopo tre giorno lo trovarono nel tempio seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava» (Lc 2,46). Sappiamo che un figlio manifesta spesso quello che ha imparato dai genitori, soprattutto quando è piccolo. Perciò possiamo immaginare che questa capacità di ascoltare e di domandare il giovane falegname di Nazaret l’abbia imparata proprio da Maria e da Giuseppe. Loro per primi hanno imparato ad ascoltare e a interrogare Dio, per poter offrire la loro adesione al suo progetto. La santa famiglia quindi è una comunità di vita aperta al mistero, dove si è capaci di ascoltare e si ha la libertà di porsi le domande davanti alla realtà e alla storia. Maria è presentata in questo stesso atteggiamento di fronte al figlio ritrovato. Non lo rimprovera e non tace; lo interroga: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo» (Lc 2,48). Questo è davvero un segreto prezioso per la santità familiare. Molte tensioni e dolori nascono dall’incapacità di dire all’altro i sentimenti e le domande che portiamo nel cuore. Ci sono atteggiamenti e scelte che spesso non condividiamo nei nostri familiari, ma non riusciamo ad affrontare l’angoscia nel modo giusto. Oscilliamo, maldestramente, tra un silenzio contratto e una manifestazione compulsiva dei nostri pensieri che — quasi sempre — non portano alcun frutto, anzi approfondiscono le distanze. 

Luogo di libertà
Maria e Giuseppe ci insegnano che per un genitore è importante comunicare il proprio stato d’animo, non imponendo però il proprio punto di vista ai figli, ma lasciando loro quella libertà con cui Dio stesso crea ed educa. Quanta serenità in più ci sarebbe nelle nostre case se molte parole riuscissero a finire con il punto interrogativo, anziché con il punto esclamativo! Inoltre Maria si propone a Gesù insieme a Giuseppe: «Tuo padre ed io...» (Lc 2,48). Anche in questo c’è un forte richiamo per i genitori a manifestarsi uniti e compatti di fronte ai figli, senza scaricare su di loro le fatiche di una comunione talvolta difficile da trovare o da ricostruire. Ciò non significa fingere di fronte a loro, perché i figli capiscono immediatamente quando tra i genitori c’è qualcosa che non va. Vuol dire invece offrire ai figli la giusta immagine della comunione che non dipende solo dalle nostra forze, ma dalla grazia di Dio. Cosa che il piccolo Gesù sembra aver compreso benissimo, manifestando la coscienza di un legame forte con Dio: «Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (2,49)

Luogo di Dio
Proprio questa invisibile presenza di Dio, riconosciuta e vissuta, è il segreto di una famiglia santa. Come le prime letture ci ricordano, ogni figlio viene da Dio e a lui appartiene (I lettura) e ogni figlio di Dio è una realtà in continua trasformazione (II lettura). Una famiglia santa è una comunione umana dove non ci si dimentica mai di questa fondamentale appartenenza a Dio che ciascuno è chiamato a scoprire e a vivere. Maria e Giuseppe condividono i sentimenti di paura e angoscia che ogni genitore conosce, ma rimangono sottomessi a Dio, ricordandosi che appartiene a lui questo figlio che hanno ricevuto. Per questo riescono a rimanere uniti di fronte a Gesù e autorevoli nei suoi confronti: «Gesù partì con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso... E cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (2,51-52). Il Cristo bambino si sottomette volentieri a questi genitori che rimangono sottomessi alla volontà di Dio. Così cresce la vita e l’amore in una famiglia umana, attraverso un amore premuroso che non diventa mai ossessivo, perché serenamente aperto al mistero della volontà di Dio. Questo è il segreto di una santità autentica, concreta e possibile a ogni famiglia umana.

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