BILANCI

Giovedì - XXXI settimana del Tempo Ordinario

L’economia — vero e proprio centro nevralgico della nostra società dei consumi — si nutre continuamente della capacità di programmare bilanci che non siano in perdita, anzi che sappiano pure rilanciare l’occupazione e lo sviluppo. Un linguaggio — e un’intenzione — simile sembra animare la Parola contenuta oggi nelle Scritture. Sia l’apostolo Paolo che il Signore Gesù esortano ad affrontare con risolutezza la paura di perdere qualcosa, quando vi è in gioco la possibilità di guadagnare qualcosa di migliore e più desiderabile.  

«Ma queste cose, che per me erano guadagni,
io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo» (Fil 3,7).

Per il fariseo convertito al vangelo non è stato per nulla immediato, né indolore abbandonare un modo di concepire la propria fede e il proprio cammino tutto costruito attorno a un’immensa «fiducia nella carne» (3,4), cioè sulla convinzione che le nostre forze e i nostri sforzi possano assicurarci meriti e felicità. Si trattò di abbandonare una certa immagine di se stesso, per iniziare a cogliersi con quegli occhi di misericordia che Cristo ha rivelato essere lo sguardo di Dio su ogni sua creatura. 

E (Gesù) disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una,
non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova?» (Lc 15,3-4).

Il cambiamento di sguardo e di orizzonte — la conversione — è faticosa ed esigente non a motivo di quanto ci è chiesto, ma dell’incredibile realtà che ci è continuamente donata e annunciata. Nessuno di noi è disposto a rinunciare a novantanove per correre il rischio di rimanere con una sola cosa tra le mani. Dio invece sì. Preferisce una vita non senza di noi che qualsiasi altra possibilità. Altrimenti la sua gioia sarebbe parziale. Cioè non sarebbe. 

«Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle,
va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: 
“Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che era perduta”» (15,5-6).

Forse le cose stanno proprio così: non accettando la nostra povertà, preferiamo concludere i nostri bilanci in attivo — guadagnare — anziché accettare di entrare nella colonna attiva di un altro bilancio — essere guadagnati — per diventare la gioia piena di chi ci ha creato e, sempre, accompagna con amore il nostro cammino. Anche, soprattutto quando siamo o ci sentiamo perduti. 

Commenti

Tandoori ha detto…
quanti affanni inutili ci addossiamo eh?