UN POSTO PER NOI

XXIX Domenica del Tempo Ordinario — Anno B

Per Dio è estremamente rischioso parlarci di tesori e ricchezze (cf. domenica scorsa). Subito (ri)affiorano nel nostro animo incontrollabili sogni di gloria, che mettono in libertà riposte speranze: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo» (Mc 10,35). Con estrema disinvoltura, i fratelli Giacomo e Giovanni si rivolgono così al Maestro che ha appena annunciato per la terza volta (!) la sua imminente passione. Un Dio a nostra disposizione, un Messia a servizio dei nostri sogni: non è ciò che — più o meno consapevolmente — tutti sogniamo? 

Al sole
Chi non desidera un posto al sole? Per sé, per i propri cari, per gli amici più fidati? È assolutamente naturale ritrovarsi nel cuore questa aspirazione. In fondo il mondo in cui  ci capita di vivere assomiglia a un meraviglioso palcoscenico, dove le cose sono belle per alcuni e brutte per altri, meravigliose in certi periodi e insopportabili in altri. E allora la nostra testa si riempie di sogni e di preghiere, che presentiamo al Dio che dovrebbe (r)assicurare tutti i nostri giorni. Tutti i sogni che attraversano la nostra fantasia sono ben rappresentati dalla sfacciata richiesta dei figli di Zebedeo, che non si vergognano di vuotare il sacco davanti al Signore Gesù, esplicitando quel sottile e ambizioso desiderio che ci spinge a cercare sempre un trono dove sederci e una gloria di cui ammantarci. Un trono sui cui stare sopra agli altri. Una gloria che possa attirare lo sguardo di tutti su di noi. Che altro può sognare quel pugno di polvere che noi siamo? Quale altri riscatto per le nostre piccole stature?

Al nulla
Gesù si accorge che i discepoli non lo stanno né capendo, né seguendo. Intuisce che il loro “io” infantile ed egocentrico non sta partecipando al viaggio di amore verso Gerusalemme. Però non li umilia e non li abbandona. Anzi, parte dal loro immaturo desiderio e lo innalza, lavorando su di esso: «Voi non sapete quello che chiedete» (19,38). Ecco cosa pensa Dio dei nostri capricci, ecco come ci vede quando ci dimostriamo ancora chiusi e gretti nei nostri interessi. Davanti a lui siamo persone che non sanno, che non hanno ancora capito cosa è la vita. Noi naturalmente abbiamo un’opinione molto più idilliaca di noi stessi, ci sentiamo navigati e coraggiosi, proprio come Giacomo e Giovanni che rispondono caparbiamente alla domanda del Maestro circa la disponibilità a seguirlo: «Lo possiamo» (10,39). Gesù annuisce, conferma che la vita di tutti è un viaggio verso Gerusalemme, che tutti dobbiamo bere un calice ed essere immersi nel mistero della morte e della risurrezione. Però aggiunge una cosa: «Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato» (10,40). Esistono posti nella vita che ci scegliamo. Talvolta facciamo di tutti per raggiungerli, arrivando anche ad accettare enormi compromessi, perfino con la nostra stessa umanità. Pensiamo che in questi posti ci sia la felicità, una vita immensa. Invece proprio dopo averli raggiunti, ci accorgiamo che erano false promesse, idoli vani, miraggi nel deserto. Con amarezza, siamo costretti a riconoscere di aver bruciato la nostra vita e i nostri desideri in cambio di nulla. Anzi di un soffio di morte in fondo al cuore. Le parole di Gesù ci ricordano che esistono altri posti preparati da Dio  per noi. Non sono i luoghi riparati dalla sofferenza e dal dolore, al riparo dagli imprevisti e dalle tempeste della vita. Sono i luoghi dove la nostra diventa diventa uguale a quella del Figlio dell’uomo, il quale «non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (10,45).

All’ombra
«Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti» (10,42-44). Con queste parole il Maestro descrive quel posto che lui sta andando a occupare, avendo scelto di «prendere parte alle nostre debolezze» (Eb 4,15), per diventare quel grande «sommo sacerdote» (4,14) che l’umanità attendeva. Perciò ha accettato di essere «messo alla prova in ogni cosa come noi», accogliendo le conseguenze del nostro «peccato» (4,15). Nel suo cuore era ben chiaro che il modello di umanità piena era quello descritto dai profeti, un Messia in grado di offrire «se stesso in sacrificio di riparazione» (Is 53,10), di giustificare «molti» addossandosi «la loro iniquità» (53,11). Un bel posto all’ombra e non al sole! Lo stesso posto è preparato anche per noi, che nel battesimo siamo diventati figli del Dio di Gesù, pienamente innestati nell’avventura del suo vangelo di amore. Camminare verso questo posto significa rinunciare ai nostri infantili sogni di gloria e accogliere con responsabilità i percorsi di servizio e di dedizione agli altri che Dio continuamente ci prepara e ci mostra. Non è facile sedersi sul trono vero, che molti giorni assume la dura realtà di una croce, di un solitario patibolo. Eppure è solo in questi posti che noi diventiamo i «primi» e i «grandi», secondo il desiderio del nostro cuore e il progetto di Dio. Tante volte ci sembra di non farcela più, di non avere le forze per portare avanti il peso insopportabile dei nostri giorni aggrovigliati. La riflessione profonda e matura della lettera agli Ebrei ci incoraggia a mantenere «ferma» (Eb 4,14) la nostra speranza, sapendo che possiamo avvicinarci al Signore in ogni istante «con piena fiducia» per «ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno» (4,16).  

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