RICURVI

Lunedì - XXX settimana del Tempo Ordinario

La condizione in cui versa la donna che Gesù vede in sinagoga, durante la sua attività di insegnamento, rappresenta in modo drammatico una postura che troppo facilmente tutti assumiamo e rassegnatamente conserviamo di fronte alla realtà. 

C’era là una donna che uno spirito teneva inferma da diciotto anni;
era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta (Lc 13,11).

La cifra è simbolica ed evoca una completezza incompiuta, dal momento che moltiplica per tre (numero che indica perfezione) il numero sei, giorno in cui nella creazione non ancora terminata fa la sua comparsa l’essere umano. In questa situazione fortemente simbolica, Gesù riconosce il segno di un’umanità ferita e non ancora liberata, legata alla sofferenza anziché partecipe della libertà dei figli di Dio. Così, infatti, è ciascuno di noi, quando resta ricurvo su se stesso, senza riuscire «in alcun modo» a stare diritto, in un rapporto di alleanza e di fedeltà con la stessa vita.

«Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: “Donna, sei liberata dalla tua malattia”» (13,12).

Senza alcun bisogno di essere invocato, il Signore riconosce e ascolta il silenzioso grido di questa donna talmente prostrata da non avere più nemmeno fiato per invocare, così profondamente segnata dal suo limite da appartenere a pieno titolo a coloro a cui il regno di Dio spetta di diritto: i poveri. E allora compie quello che sempre abbiamo la libertà di fare: stendere la mano affinché il nostro prossimo sia sollevato dalla fatica di vivere. Il capo della sinagoga si inalbera — naturalmente non con Gesù ma con la folla —, il Maestro invece svergogna lui e tutti quelli che si nascondono dietro a schemi e regole piuttosto che restare in ascolto della voce della coscienza.  

«Ipocriti, non è forse vero che, di sabato, ciascuno di voi slega il suo bue 
o l’asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? (13,15).

È proprio vero, siamo tutti molto bravi a fare eccezioni e a operare il bene, quando noi siamo i diretti beneficiari. Perché allora non ascoltare il consiglio dell’apostolo Paolo e capitalizzare le nostre migliori energie per il regno dei cieli, diventando finalmente fratelli? Quindi figli!

«Fratelli, siate benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, 
perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo» (Ef 4,32).

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