AMMUTOLIRE

Venerdì - XXVI settimana del Tempo Ordinario

La scuola della sofferenza ha plasmato il cuore di Giobbe. Al termine della sua vicenda esso si è purificato e semplificato, diventando disponibile a entrare in una più profonda relazione con il mistero della vita e del suo Autore. Dopo aver ascoltato pazientemente i tentativi di rassicurazione e di ammaestramento dei suoi tre amici, e dell’intemperante Eliu, Giobbe matura una sua personale posizione davanti a Dio, che non è né quella di chi crede di aver capito, né quella di chi rinuncia a restare in alleanza. È semplicemente quella di chi si rende conto che, a un certo punto, le parole non servono più.

Giobbe prese a dire al Signore: «Ecco, non conto niente: che cosa ti posso rispondere?
Mi metto la mano sulla bocca. Ho parlato una volta, ma non replicherò,
due volte ho parlato, ma non continuerò» (Gb 40,3-5).

La mano sulla bocca non è un segno di resa o di servilismo. Manifesta piuttosto la massima apertura all’altro — a Dio — accolto sempre come mistero. Molte volte, soprattutto quando attraversiamo il crogiolo della malattia fisica o spirituale, non ci è chiesto altro che questo: la disponibilità a trasformare la passione che viviamo in passività di intenti e di iniziative. Restando in ascolto, di tutta quella vita che attorno a noi ci testimonia l’incessante provvidenza del Creatore di tutte le cose. 

«Sei mai giunto alle sorgenti del mare e nel fondo dell’abisso hai tu passeggiato?
Ti sono state svelate le porte della morte e hai visto le porte dell’ombra tenebrosa?
Hai tu considerato quanto si estende la terra? (38,16-18).

Sebbene il vangelo non descriva in alcun modo la replica delle città alle pesanti parole di rimprovero che il Signore Gesù muove loro, sorge il sospetto che questa capacità sia assente in chi continua a leggere e a interpretare la propria parabola esistenziale in termini di crescita e di innalzamento, veri e propri criteri idolatrici con cui la nostra società misura cose e persone. 

«Guai a te, Corazìn, guai a te, Betsàida!
Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che avvennero in mezzo a voi,
già da tempo, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. [...]
E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo?
Fino agli inferi precipiterai!» (Lc 10,13-15).

Commenti