SENZA PAROLE

Giovedì - XXIV settimana del Tempo Ordinario

Non dice niente, eppure fa tutto quello che l’amore è, quando è capace di esprimersi nella libertà di un cuore colmo e felice. A differenza del fariseo Simone, che con algida educazione accoglie il Signore Gesù come ospite nella sua casa senza alcuna passione, la donna peccatrice che si getta ai piedi del Maestro senza proferire parola mostra in cosa consista la fede in Dio: molto amore per colui che ci ha amati.

[...] portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, 
cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, 
li baciava e li cospargeva di profumo (Lc 7,37-38).

Questa donna, senza nome né voce, che non conosce altro linguaggio se non quello del corpo, esprime con tutto ciò che ha — compreso il suo peccato — il bisogno di ringraziare e adorare, colui che ha destato in lei una dignità nascosta eppure mai perduta. Senza attendere inviti, né farsi itimorire da inutli galatei, compie l’unica cosa che nella vita ha imparato a fare: mostrare e offrire il suo corpo, consapevole di non aver in realtà nulla da perdere nel farlo. Anzi, forse già immersa in quel riconoscimento di Gesù come Signore, che appare in forma matura nelle parole dell’apostolo.

Per grazia di Dio, però, sono quello che sono,
e la sua grazia in me non è stata vana (1Cor 15,10).

Una simile ri-lettura della nostra vita non è possibile senza che un vangelo ci venga trasmesso e rimanga saldo nel nostro cuore. I primi cristiani ci consegnano l’esperienza di una commossa e appassionata trasmissione della notizia pasquale, come principio di fede e di vita nuova. Parole semplici e asciutte, dolci come il miele e forti come un tuono. Da ascoltare sempre e da custodire con amore, fino a rimanere — come la donna peccatrice — senza parole da dire. Con un corpo, invece, da restituire a Dio e ai fratelli.  

Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture
e (che) fu sepolto e (che) è risorto il terzo giorno secondo le Scritture  (15,4).

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