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Martedì - XXIV settimana del Tempo Ordinario

Dopo aver esortato i cristiani ad aspettarsi vicendevolmente, l’apostolo prolunga la riflessione e le raccomandazioni nella direzione della comunione fraterna. A una comunità ancora incapace di stringere fino in fondo vincoli di sincera carità, Paolo propone la metafora del corpo, realtà individua ma composita. 

Fratelli, come il corpo è uno solo e ha molte membra, 
e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, 
così anche il Cristo (1Cor 12,12).

L’immersione nella vita e nello spirito del Risorto costituisce i credenti come un corpo, dove non può dimorare alcuno spirito di competizione o di gelosia, ma dove si impara a riconoscere nella diversità dei doni e dei compiti la generosa mano di Dio.

Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra (12,27).

Per questo è inutile, anzi dannoso, mettersi a confronto con l’altro, ritenendo migliore il suo dono rispetto al nostro. Ciò equivale a provare invidia nei confronti dello stesso Dio, il quale — come diceva san Francesco — dice e dà ogni bene. Piuttosto c’è un comune carisma a cui è importante anelare con speciale intensità di desiderio. 

Desiderate invece intensamente i carismi più grandi. (12,31).

Il carisma più grande della carità — che la liturgia rinvia a domani — appare evidente nei sentimenti viscerali di Gesù nei confronti di una vedova che guida il pianto nel corteo funebre del suo unico figlio. 

Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: 
«Non piangere!». (Lc 7,13).

Queste lacrime sono sufficienti al Signore per donare liberamente ciò che non viene chiesto da nessuno, ma certamente desiderato segretamente da ogni cuore. Il bambino si alza e viene restituito alla madre. Intuire, donare, restituire: anche per noi questo è l’unico modo di attendere l’altro e di partecipare creativamente al suo destino di risurrezione. 

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