XV Domenica del Tempo Ordinario - Anno B

Am 7,12-15 / Sal 84 / Ef 1,3-14 / Mc 6,7-13

A DUE A DUE


In questa domenica d’estate, il vangelo ci spoglia dei pesi inutili, facendo la tara alla nostra esperienza di fede, alleggerendo la testimonianza cristiana che siamo chiamati a dare affinché si compia il «disegno d’amore» (Ef 1,5) di Dio. Le istruzioni con cui Gesù manda i discepoli ad annunciare il regno dei cieli non smettono di provocarci ad una conversione profonda e liberante.

Insieme
Strano. Anziché preoccuparsi di dirci cosa annunciare, il Maestro sembra maggiormente preoccupato di indicarci come farlo. Quasi che l’annuncio del Regno sia una questione di forma, prima che di sostanza. O meglio, di una forma che, probabilmente, è già la sostanza del discorso: «Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro il potere sugli spiriti impuri» (Mc 6,7). A due a due, non da soli. Da questa condivisione nasce una specie di autorità sugli spiriti impuri che abitano nel cuore della gente. La prima caratteristica della missione cristiana è l’essere mandati insiema a un altro. Non è un’avventura solitaria essere discepoli. Siamo chiamati a fare esperienza di comunione. Ciò che annuncia il regno di Dio è la fraternità, la capacità di stare insieme. Ma cosa c’entra questa bella cosa con gli spiriti impuri presenti nella vita altrui? Lo spirito impuro è quella menzogna che ci vuole condannare alla solitudine. Ogni volta che ci sentiamo soli, sbagliati, poco gradevoli e commestibili, siamo abitati dallo spirito impuro, che non dice la nostra verità di esseri viventi creati per amare ed essere amati. Contro questa tenebra non esiste altro antidoto che l’evidenza di una comunione possibile, la vicinanza di un amore che ci annuncia la fine della nostra solitudine. Vi è un modo di porgersi agli altri che permette alla grazia di Dio di espandersi come una macchia d’olio, diventando come un unguento che sana e lenisce. È la testimonianza della fraternità, che in molti modi ci è dato di vivere, perché si incarna in tutte le relazioni che viviamo. 

Miti
Poi Gesù affonda il colpo, e fa una cosa piuttosto insolita per lui: impartisce dei comandi ai discepoli. «E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche» (6,8). Gesù comanda – e lo fa perché quanto ci chiede è per noi molto difficile – di rinunciare ad un altro tipo di spirito impuro, quello che ci spinge a possedere e, di conseguenza, ad assumere atteggiamenti aggressivi verso gli altri. Curioso è il fatto che la parola pane in ebraico si dica lehem e la parola guerra milhama (lett. ‘dal pane’). Ogni conflitto nasce dal pane e dal bisogno di assicurarselo. Quando abbiamo qualcosa da difendere, siamo minacciabili e quindi siamo pronti ad iniziare una battaglia. Per annunciare il vangelo dobbiamo rinunciare a possedere le cose, ma imparare a riceverle come dono di Dio. Questo equipaggiamento così essenziale è più un’indicazione di libertà che di povertà. Infatti Gesù e i discepoli mangeranno pane nella loro vita insieme, avranno una sacca per la cassa comune, nella quale terranno anche alcuni denari. Allo stesso modo noi, possiamo usare e godere di ogni cosa che serve ad una vita dignitosa e pienamente umana. Tuttavia dobbiamo fare molta attenzione a non assicurarci tutte queste cose con le nostre forze. Se nella vita partiamo sempre con il necessario già garantito, come mostreremo il volto provvidente del Padre?

Liberi
Insomma, per annunciare il vangelo occorre vivere con una certa essenzialità che sia la manifestazione di una genuina libertà interiore. Altrimenti continuiamo a donare cose e mai noi stessi. Altrimenti la nostra bocca si chiude quando siamo chiamati a dire cose scomode, che potrebbero farci perdere qualcosa che teniamo come possesso: la stima degli altri, l’affetto delle persone care, i vantaggi economici e sociali che ci derivano da una certa posizione. C’è infatti un’ultima libertà che il Vangelo ci vuole donare: la libertà dagli esiti. Dice Gesù ai discepoli: «Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro» (6,11). Cioè, non dobbiamo arrabbiarci se le cose vanno male. Se in famiglia, al lavoro, in parrocchia, le cose non procedono come vorremmo. Dobbiamo solo scuotere la povere dai piedi, far capire all’altro che bella occasione si è perso – incontrare – e riprendere il viaggio. A nulla serve fare gli offesi oppure tuonare sentenze. Meglio ricominciate a camminare e sorridere. In pace, a due a due. Questa è la più bella pubblicità alla «benevolenza» (Ef 1,9) di Dio e alla «ricchezza della sua grazia» (1,7). 

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