LACRIME

Martedì - XVII settimana del Tempo Ordinario



Nella spiegazione della parabola della zizzania, si potrebbe restare colpiti dagli aspetti più negativi e drammatici della vicenda, dagli accenti più giudicanti del discorso che Gesù fa ai suoi discepoli per illuminare il mistero di una storia dove bene e male sembrano prosperare allo stesso modo.

«Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco,
così avverrà alla fine del mondo.
Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno 
tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità
e li getteranno nella fornace ardente, 
dove sarà pianto e stridore di denti» (Mt 13,40-42).
Ma l’intenzione della parabola non è tanto quella di spiegare l’origine del male e di illustrare il suo ultimo destino. Il discorso parabolico, con la sua ricchezza di immagini e di sfumature, non mira a formulare risposte precise, ma a favorirne la ricerca e l’elaborazione personale nel cuore di chi ascolta e si lascia interrogare. Le ultime parole con cui il Signore Gesù accetta di compendiare il suo insegnamento orientano l’immagine del campo dove crescono il buon seme e la zizzania verso un’atmosfera luminosa, di vita e di speranza.

«Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro.
Chi ha orecchi, ascolti» (13,43).
Più che essere spiegato e compreso, il male ha solo (!) bisogno di essere avvolto e sconfitto dalla paziente forza del bene. Al discepolo di Cristo non è chiesto di eliminare dal campo del mondo il mistero del male, ma di saperlo combattere con le armi giuste. Il profeta Geremia, rivelandoci un tratto delicatissimo tratto del volto di Dio, ci dice che queste armi non possono essere altro che occhi capaci di osservare la realtà come se ci riguardasse profondamente, come se fosse il nostro stesso corpo. Occhi capaci di versare ancora lacrime. Notte e giorno, se necessario.  

Il Signore ha detto: «I miei occhi grondano lacrime notte e giorno, senza cessare,
perché da grande calamità è stata colpita la vergine, figlia del mio popolo,
da una ferita mortale» (Ger 14,17).

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