XX Domenica del Tempo Ordinario - Anno A

Is 56,1.6-7 / Sal 66 / Rm 11,13-15.29-32 / Mt 15,21-28

BAU


L’esperienza in montagna ci insegna che più si va in alto, più si rimane in pochi. Soli addirittura, quando la vetta da raggiungere è particolarmente ardua. Il profeta Isaia sostiene invece che sul monte del Signore le cose vanno al contrario: la sua casa sarà capace di accogliere una moltitudine, «si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli» (Is 56,7). Dio allarga, aumenta, include. Agisce in modo radicalmente diverso da come facciamo noi che, dopo sporadiche e incostanti aperture, tendiamo sempre a ritirarci e a chiuderci in noi stessi. Fantastica montagna quella di Dio, verso cui tutti siamo incamminati. «Tutti i popoli», colmati di «gioia» (56,7), vi potranno trovare dimora, a patto che abbiano a cuore «il diritto» e «la giustizia» (56,1). Che bello!

Stran(ier)o
Che brutto invece il Gesù del vangelo di oggi! Manifesta un volto scorbutico, antipatico, persino scortese! Ma come ha potuto dimenticarsi la profezia del monte di Dio che un giorno accoglierà tutte le genti?! Il suo crudele silenzio davanti al grido disperato della donna Cananèa è sconcertante: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide. Mia figlia è molto tormentata da un demonio» (Mt 15,22). Precisa Matteo che Gesù «non le rivolse neppure una parola» (15,23). Davanti a un simile modo di fare, viene spontanea anche a noi l’osservazione che subito i discepoli sollevano: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando» (15,23). Forse però – a pensarci bene – dietro a questo palese tentativo di evitare fastidi al Maestro, i discepoli nascondono il più personale desiderio di evitare fastidi a loro stessi. Il Signore tuttavia non sembra intenzionato a modificare il proprio atteggiamento, anzi rincara la dose: «Non sono stato inviato se non alle pecore perdute della casa di Israele» (15,24). Il Maestro si mostra assolutamente indifferente tanto alle grida della donne quanto al bisogno di ordine e di tranquillità che i discepoli hanno velatamente manifestato. Perché Gesù si comporta così? Che cosa vuole dirci? Che modo di amare ci rivela questa intenzionale indifferenza?

Straniera
Il Maestro sta scegliendo di far emergere una qualità che questa donna – a differenza dei discepoli molto paurosi anche se pieni di ceste di pane – probabilmente ha già manifestato ai suoi occhi: la fede. Gesù si accorge che questa donna straniera si sta accostando a lui in un modo diverso da tutti quelli che finora lo hanno incontrato, discepoli compresi. Questa donna si muove con atteggiamento umile e fiducioso. Sa benissimo di non avere alcun diritto nei confronti di un «figlio di Davide» (15,22). Ma proprio da questa assenza di meriti e di diritti si sprigiona una certa bellezza, una rocciosa libertà interiore, che la spinge a chiedere senza stancarsi di fronte all’insuccesso. Lo conferma la perseveranza con cui continua a mendicare anche quando il Signore replica: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini» (15,26). Già, così in Israele ci si riferiva alle nazioni pagane, con l’appellativo di “cani”. Non certo un bel complimento! Eppure il desiderio della donna non si lascia intimidire: «È vero, Signore – disse la donna –, eppure  i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni» (15,27). La maniere scorbutiche e dure del Maestro hanno fatto emergere una meravigliosa verità presente nel cuore di questa donna appartenente alle «genti» (Rm 11,13) estranee alle promesse di Israele. Proprio lei sembra aver capito il vangelo meglio di coloro che appartengono al popolo eletto, intuendo che «i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili» (11,29). Finalmente il Signore esclama: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri» (15,28).

Stranieri
Proviamo a riflettere su questo episodio. Il Signore non pone la fede come condizione per compiere il miracolo. È esattamente il contrario: la fede della donna, coraggiosa e ostinata, suscita l’intervento prodigioso da parte di Gesù. In un certo senso, potremmo dire che non è Dio a fare i miracoli, ma la nostra fede a suscitarli davanti al miracolo della sua presenza. L’atteggiamento del Signore Gesù riesce a valorizzare e moltiplicare questo tipo di apertura fiduciosa manifestata dalla donna straniera, che è il vero miracolo nascosto nel racconto. Quel miracolo che – purtroppo – troppo spesso Dio non riesce a compiere in noi, perché dopo aver pregato ci giriamo stizziti, rassegnati e delusi di fronte al suo silenzio. La storia della cananea vuole destare speranza. E soprattutto ammonirci, ricordandoci che Dio molto spesso ascolta senza rispondere. Il suo amore per noi è così adulto, libero, fedele, da non aver bisogno di correre dietro ogni nostro gemito, di assecondare ogni nostro bisogno. Dobbiamo imparare a leggere la sua apparente insensibilità alle nostre richieste come il miglior aiuto per tornare umili, accettando di riconoscere che viviamo spesso estranei al Padre che ci ha donato la vita, che in mille modi, ogni giorno decadiamo dalla nostra natura di figli di Dio. Dobbiamo imparare a ricordarci che essere vivi e amati per sempre non è un diritto acquisito. Ma un dono, il più vero, il più bello. Da accogliere ogni volta con stupore e gratitudine. Come fanno i cani che scodinzolano sotto la tavola. E poi, felici, si saziano del cibo fragrante di amicizia che cade liberamente dalla mensa del loro padrone. Solo così la nostra vita, fuori e dentro, sarà veramente «guarita» (15,28).

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