XIX Domenica del Tempo Ordinario - Anno A

1Re 19,9.11-13 / Sal 84 / Rm 9,1-5 / Mt 14,22-33

LA SOSTENIBILE LEGGEREZZA DELL’ESSERE



Il tesoro nascosto del Vangelo è condividere il dono della vita, come Dio fa con noi. Così il seme buono posto nella nostra terra cresce fino a portare il frutto dell’amore e della fratellanza, sebbene la zizzania sembri ostacolarne la completa maturazione. Si tratta di un disegno meraviglioso, divino, ma immensamente delicato. Talmente fragile che l’uomo fa fatica a crederlo. E a viverlo, naturalmente.

Fraintendimenti
Prima si passa necessariamente attraverso le tappe dell’incredulità e del fraintendimento. È successo a tutti gli amici di Dio prima di noi. A Elia, per esempio, come ci racconta la prima lettura. Per capire il significato di questa sua singolare esperienza di Dio, è indispensabile richiamare brevemente alla memoria il contesto storico in cui si colloca. Il re Acab ha sposato Gezabele, una principessa fenicia che favorisce in Israele il culto di Baal e promuove una feroce persecuzione contro i profeti del Dio dei padri e dell’Esodo. Elia, «pieno di zelo per il Signore degli eserciti» (1Re 19,10) uccide di spada quattrocentocinquanta profeti di Baal, scannandoli «nel torrente Kison» (18,40). Così facendo il profeta crede di interpretare il comandamento di Dio che vieta l’adorazione e il culto di altri dei, secondo la Legge data a Mosé. La regina Gezabele naturalmente va su tutte le furie ed Elia scappa «per salvarsi» (19,3) la pelle. È questo il momento in cui avviene l’incontro con Dio sul monte Oreb di cui parla la lettura di oggi. L’autore sacro racconta che Elia si trova davanti prima un «vento impetuoso», «ma il Signore non era nel vento», poi «un terremoto», «ma il Signore non era nel terremoto», poi «un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco» (19,11-12). Infine, giunge «il sussurro di una brezza leggera» (19,12). Allora Elia «si coprì il volto con il mantello» (19,13): era il Signore! Il significato profondo del racconto è facilmente decifrabile: il profeta, dopo aver dato sfogo al suo zelo e alla sua ira ardente, arriva a comprendere che Dio non impone la sua presenza in maniera violenta e aggressiva, come fanno il vento, il fuoco e il terremoto. Dio vuole essere creduto e amato nella libertà, perciò si manifesta nella voce sottile di un silenzio, nel peso leggero di una presenza/assenza che solo la fede può intuire ed accogliere. Questa esperienza purifica il cuore di Elia, che è costretto a spogliarsi di tutte le immagini fasulle di un Dio potente e intollerante. Elia scopre che Dio è leggero, lieve come una brezza.
Il Dio leggero
Anche i discepoli scoprono il mistero di un Dio leggero, molto più leggero e discreto dei loro sogni. La narrazione evangelica di oggi prende avvio dalla moltiplicazione dei pani e dei pesci che si appena si è conclusa sulle sponde del lago di Galilea. Il Maestro Gesù si accorge che la folla e i suoi amici sono un po’ esaltati e probabilmente non hanno capito bene il senso del miracolo. Forse stanno pensando: “Che bello, ormai è con noi il Dio che ci risolve i problemi e ci toglie le fatiche della vita”. Infatti, scrive Matteo: «[Dopo che la folla ebbe mangiato], subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull'altra riva, finché non avesse congedato la folla» (Mt 14,22). Gesù spegne gli entusiasmi, si allontana da tutti e si mette a pregare, per conservare l’unione con il Padre e rimanere fedele alla logica dell’incarnazione, per non diventare il Messia dei miracoli e dei balocchi. I discepoli, a malincuore, obbediscono al comando e si trovano ben presto nel cuore di una vera e propria tempesta: la barca «era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario» (14,24). La primitiva comunità cristiana ha conservato il ricordo di questa angosciosa notte – di cui si parla in tutti i vangeli – perché in essa ha visto come una parabola della propria situazione nel mondo. La Chiesa, al principio, lungo i secoli e ancora oggi, assomiglia davvero a una piccola barca sospinta nel mare dalla voce del suo Signore, non di rado impaurita e sballottata qua e là dai venti della storia. Pure la nostra vicenda personale o familiare è contenuta pienamente in questa immagine. Anche noi siamo partiti per un viaggio, suscitato e benedetto dal Signore. E durante il viaggio ci siamo scoperti inadeguati a portare a termine il compito assegnato, incapaci di navigare con tranquillità nel mare impazzito della vita. Ed è esplosa la paura, incontrollata, ingestibile. Per fortuna il Signore «sul finire della notte» ci viene incontro, «camminando sul mare» (14,25), sull’oceano delle nostre inconfessate paure. Ma il suo arrivo non estingue immediatamente il panico che ci portiamo dentro, anzi lo fa esplodere: «Vedendo(lo) camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: “È un fantasma!” e gridarono dalla paura» (14,26). La presenza di Dio nella nostra vita è discreta, lieve; solo la fede la riconosce. Come già aveva capito il profeta Elia, Dio si rende sensibile come un vento leggero, che accarezza e scompiglia i capelli, come una brezza che tocca delicatamente il contorno della nostra vita. Facciamo fatica a credere in una presenza così leggera. È così difficile abbandonarsi a un tipo di compagnia così poco evidente che facilmente mettiamo alla prova Dio chiedendo ulteriori segni per riuscire a credere: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque» (14,28). Provando a camminare sulle acque Pietro impara che se guardiamo la furia del vento siamo invasi dalla paura e affondiamo sotto il peso delle nostre angosce, ma se gridiamo e afferriamo la mano del Signore il vento si placa. Finalmente comprendiamo che il vero problema della nostra vita si chiama mancanza di fede: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?» (14,31).

Più leggeri?
Se la presenza di Dio è così bella e lieve — non pesante e ingombrante — forse dovremmo provare ad alleggerire molte delle nostre aspettative. La vita cristiana, volendo essere la pienezza della vita umana, non è esente dalla fatica, dal dolore, dalla tempesta. Anzi, proprio in quanto scelta radicale in favore di Dio e dei fratelli, ci espone maggiormente alla logica della croce. Se ci dimentichiamo di questo, Cristo diventa un fantasma e noi bambini agitati che gridano e piangono in mezzo alla tempesta. La traversata in questo mondo è il viaggio attraverso cui noi impariamo a credere al Dio che ci ama e offre la sua vita per noi. I doni, i miracoli, i segni che il Signore pone sulla nostra strada vogliono far crescere la nostra fede e trasformarla in dedizione amorosa, non spingerci a rimanere morbosamente attaccati alle logiche dell’infanzia. In fondo, si tratta di accettare il dono e il compito della libertà. Senza farla diventare une vertigine di paura, ma una forza umile e discreta con cui affrontare serenamente ogni passaggio che la vita a tutti chiede di compiere.

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