Martedì della I settimana - Tempo di Quaresima

Letture: Is 55,10-11 / Sal 33 / Mt 6,7-15


FORZA DI PAROLE



Siamo entrati nel clima della Quaresima ricordandoci che «non di solo pane» vive l’uomo, ma «di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4). La parola che esce dal cuore del Signore è sempre «viva, efficace» (Eb 4,12), come il profeta Isaia riesce a spiegare con un’immagine di rara bellezza: «Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (Is 50,10-11). Questa straordinaria forza produttiva deriva dal fatto che quando Dio parla non esiste alcuna frattura tra ciò che egli dice e tra ciò che egli fa. Le sue parole sono fruttuose perché contengono promesse autentiche, perché sono «fatti» in anticipo. Per questo riescono ad operare meraviglie in coloro che le accolgono ritenendole meritevoli di fiducia (cf. 1Ts 2,13).


Diversamente, noi uomini siamo capaci di dire e poi non fare, di promettere e poi non mantenere, di sedurre senza realmente voler bene. Così dalla nostra bocca escono parole vane (cf. Mt 12,36), suoni non accompagnati da alcuna forza, che non producono nulla, anzi di cui dovremo certamente «rendere conto nel giorno del giudizio» (12,36). Usando un linguaggio maggiormente biblico, potremmo dire che esiste in noi la capacità di comportarsi come falsi profeti, diventando per il mondo e per gli altri riflesso opaco di Dio, filtro che non lascia intravedere il suo volto.


Nel tempo di Quaresima le Scritture ci consigliano di cominciare, anzitutto, a risparmiare parole, riducendo quello spreco di suoni che spesso crea confusione nei rapporti quotidiani e introduce illusioni nell’animo. A cominciare dal nostro rapporto con Dio, dal momento che «il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate» (6,8), assicura il Maestro Gesù. Vale la pena non dimenticare mai che il Dio a cui rivolgiamo i nostri gemiti sa bene chi siamo e che cosa ci manca. Noi piuttosto ignoriamo quanto la sua «volontà» possa diventare per noi, qui «in terra» (6,10), qualcosa che ci sazia in profondità, «il nostro pane quotidiano» (6,11). Purificare la preghiera dagli eccessi verbali è scuola di pazienza e di umiltà. Ci educa a credere che molta della felicità che andiamo cercando, in realtà, ci sta già aspettando da qualche parte. Se ne avvertiamo la mancanza è solo perché le nostre vie sono ancora abbastanza lontane da quelle su cui Dio desidera farci camminare.


Pregare il Padre con poche parole significa imparare a rimanere docilmente davanti alla sua volontà, nell'attesa che diventi presto anche la nostra. Nella fiducia che i nostri desideri verranno ascoltati non a forza di parole, ma con parole forti di speranza. Quelle sobrie, sincere, cordiali, che un figlio rivolge con naturalezza al suo babbo. Quelle che escono con la consapevolezza di non poter mai tornare indietro «senza effetto». Come fa la pioggia. Come fa la neve.


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