Martedì della VI settimana - Tempo di Pasqua

Letture: At 16,22-34 / Sal 138 / Gv 16,5-11


IL PASSO E IL CANTO



I discepoli non sembravano affatto contenti, tuttavia il Maestro non ha cambiato idea. Anzi, ha persino tessuto l’elogio di quel prossimo, amaro addio: «È bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito; se invece me ne vado, lo manderò a voi» (Gv 16,7). Gesù quella sera, prima di immergersi nella sua passione, ha fatto un passo indietro. Dicendo ai discepoli che, nonostante la tristezza che riempiva il cuore (cf. 16,6), questo per loro era il miglior bene. Non ha mai smesso di fare così Dio con la nostra pavida umanità. Ci sono delle distanze tra la nostra debolezza e la sua forza che ci rendono tristi, eppure sono foriere di vita e gioia. Talvolta, quando il cielo stabilisce che è venuto il momento per noi di crescere nell’esperienza dello Spirito, ci sembra di subire una perdita, di sanguinare, che il Signore stia clamorosamente abbandonando «l’opera delle sue mani» (cf. salmo responsoriale). Poi, scopriamo che il vuoto innanzi a noi è, in realtà, uno spazio percorribile. Dalla nostra memoria, dalla nostra libertà, dalla nostra vita chiamata ancora a donarsi. Ma soprattutto dalla generosità di Dio, che ci fa dono del Paraclito, il suo amore «per sempre» (sal. resp.) accanto a noi. Quella sera il Signore ha riempito di dignità i suoi amici. Ha dichiarato loro che erano pronti ad avere nel petto il suo stesso Spirito, la sua forza per scegliere, decidere, amare. Che era giunto il momento di diventare cristiani - altri cristi - chiamati a percorrere le medesime strade di libertà solcate dal Maestro.


Non dovettero aspettare troppi i discepoli, prima che queste cose cominciassero ad accadere. Ce ne parlano gli Atti degli apostoli, raccontando di quando «Paolo e Sila» (At 16,22) vennero spogliati, bastonati e colpiti, quindi messi in prigione. Altro che un passo indietro: il Signore sembrava averne fatti almeno due indietro rispetto a loro! Ma, proprio in questa situazione sfavorevole, dal cuore degli apostoli si solleva un canto, una preghiera a Dio che ha la forza di un terremoto: «furono scosse le fondamenta della prigione; subito si aprirono tutte le porte e caddero le catene di tutti» (16,26). Questo improvviso mutamento non è per gli apostoli l’occasione di fuggire subito dalla scomoda situazione in cui si trovano. Il carcere ormai privo di catene e lucchetti non incute più timore, a chi porta nel cuore un canto di salvezza. Questa forza misteriosa e straordinaria è l’azione dello Spirito di Dio, che si attiva nella preghiera. Dalla preghiera sempre nasce un terremoto che non è l’abolizione delle situazioni che ci opprimono, ma la creazione di una profonda libertà dentro di esse. Quando il male perde le sue «fondamenta» noi scopriamo di poter trarre profitto anche dalle prigionie e dalle paralisi, che si mutano in occasioni di salvezza per noi e per gli altri, momenti pieni «di gioia» per il semplice fatto di «aver creduto in Dio» (14,34).


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