IV Domenica - Tempo di Quaresima - Anno C

Letture: Gs 5,9a.10-12 / Sal 34 / 2Cor 5,17-21 / Lc 15,1-3.11-32


IL PADRE PRODIGO



Il Dio che ci ha invitato nel deserto per fare quaresima desidera comunicarci tutta la bellezza che il nostro cuore va cercando. Non è un Dio lunatico o distratto, che permette disgrazie o infligge punizioni. È un Padre misericordioso, pazzo di amore per i suoi figli che siamo noi. Noi che fatichiamo ad accogliere questo legame con lui, sedotti da una falsa idea di libertà, prigionieri di una fedeltà a cui manca troppo spesso la gioia. Il vangelo di questa quarta domenica di quaresima ci fa cadere tutti dal trespolo, ci costringe a rimettere a fuoco quale volto di Dio stiamo adorando.


Falsa libertà

« Un uomo aveva due figli - racconta il Maestro - Il più giovane dei due disse al padre: ‘Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta’. Ed egli divise tra loro le sue sostanze » (Lc 15,11-12). Il resto del racconto è assai noto, ha ispirato numerosi artisti lungo i secoli. Il Figlio minore se ne va con ciò che gli sembra dovuto, si allontana dal padre e comincia a vivere in modo dissoluto. In questo pugno di versetti è riassunta metà della storia umana. Si racconta di quando ci capita di bruciare la vita, con la ribellione, la trasgressione, il peccato. Si parla della nostra infinita adolescenza dello spirito, dura a maturare e dura a morire, che ci spinge ad affermare ripetutamente il nostro io, considerando temibile o concorrente il legame con il padre. È quel solito tragitto, inizialmente divertente e galvanizzante, che poi invece capitombola in amara sconfitta. Il figlio minore si ritrova vuoto e desolato, privo persino di quel cibo che i porci hanno. Allora ritorna « in sé » (15,17) e decide di tornare da suo padre. Non perché ha finalmente capito il bene che il padre gli vuole, ma perché ha fame. « Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! » (15,17), questo è il suo pensiero. Non si è convertito, ha soltanto messo da parte il suo orgoglio. Il padre « lo vide » tornare quando « era ancora lontano » (15,20), perché era rimasto alla finestra con il cuore gonfio di attesa e di dolore. Senza alcuna esitazione « gli si gettò al collo e lo baciò », impedendogli di umiliarsi ulteriormente. Gli dona l’abito « più bello » (15,22), uccide « il vitello grasso » (15,23), e fa « festa » (15,23). Il suo cuore impazzisce di gioia perché questo figlio « era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato » (15,24).


Falsa giustizia

L’altro figlio ha un problema persino « maggiore » (15,25) di suo fratello. Di ritorno dai « campi » dove aveva sgobbato tutti il giorno, al sentire la « musica e danze » (17,25) non capisce più nulla: si indigna e si paralizza. « E non voleva entrare » (15,28) in casa, scrive con finezza psicologica Luca. Il padre, questa volta, non rimane in attesa come aveva fatto con il figlio minore. Esce di casa e va a supplicare il figlio che rimane fuori dalla festa della misericordia. Capisce bene che questa difficoltà cardiaca è più grave e difficile da curare di quella che ha portato il figlio minore ha divorare il patrimonio di famiglia « con le prostitute » (15,30). Il figlio maggiore è in realtà uno schiavo incatenato al senso del dovere, incapace di godere le gioie della vita, così orgoglioso da non saper chiedere nemmeno « un capretto per  far festa » (15,29) con i suoi amici. Anche in questa triste figura, è dipinta mezza umanità che ci circonda e che ci portiamo dentro. Fedeli, sgobboni, coerenti, ma infelici, perché ancora ignari che le cose più importanti della vita non vanno conquistate a caro prezzo perché ci sono donate. Tutto sommato insicuri, perciò duri e severi con tutti; ancora ignari di essere amati ed eredi. « Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo » dice il padre al figlio stizzito, tentando di mostrargli il suo grande affetto, provando ad offrire anche a lui la forza trasformante di un abbraccio. Ma il figlio non reagisce. Non dice nulla, non parla, non si muove. La parabola finisce così, con un invito a cercare nel nostro cuore le parole per concludere il finale aperto di questo drammatico dialogo. Il Signore Gesù aveva infatti raccontato questa parabola non per i peccatori, ma per « i farisei e gli scribi » che « mormoravano » (15,2) e che probabilmente « avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri » (18,9). Per noi, appunto.


Vero Padre

La parabola racconta i due problemi che abbiamo sempre davanti a Dio. Uno è minore, si esprime nella ribellione e nelle forme della trasgressione; l’altro è maggiore, si nasconde nella coerenza e nelle forme dell’osservanza religiosa. Al di sopra di queste due tragiche fughe dal nostro limite fondamentale, il vangelo ci mostra la figura di un Padre favoloso, che il nostro cuore stenta a credere. Un Padre che ci accorda un’infinita libertà in cui viver e crescere. Che sa attendere, soffrire a distanza, che non accusa né rinfaccia, che perdona, fa festa, che non smette mai di aver fiducia nei suoi figli. Un Padre davvero umile, disposto anche a supplicare i suoi figli, quando il loro cuore è arroccato dentro le paure e i pregiudizi. Che non abbandona mai la forza del dialogo, per battere altre vie. Che offre un sorriso al broncio, un’ultima possibilità davanti a qualsiasi rifiuto. Un Padre scandalosamente prodigo, che dona amore dalle viscere e trae misericordia dall’intelligenza. Come solo un uomo e una donna insieme sanno fare. Davanti ad un simile Padre può davvero continuare la nostra quaresima. Davanti ad un amore così bello e solido, possiamo stracciare la lista sempre infinita delle recriminazioni, non soddisfare le passioni inutili, disertare gli sterili orgogli. Come figli liberi e responsabili, possiamo ricominciare piuttosto a prenderci il meglio della vita. Per questo, solo per questo, continuiamo a vivere sotto un cielo paziente.


Commenti

Unknown ha detto…
essere perdonati
è il nostro destino di figli:
eternamente abbracciati dal Padre,
nonostante noi..

Cristina
Stefania ha detto…
E' sempre una gioia ascoltare e leggere le parole che quattro anni fa hanno segnato l'inizio.