III Domenica - Tempo di Quaresima - Anno C

Letture: Es 3,1-8.13-15 / Sal 103 / 1Cor 10,1-6.10-12 / Lc 13,1-9


VITA O MORTE



Il deserto è il teatro in cui si svolge l’occasione della quaresima. A contatto con le nostre tentazioni (I domenica), ma consapevoli di essere in cammino verso la bellezza di Dio (II domenica) alla ricerca della nostra migliore qualità umana, in questa domenica ci raggiunge la notizia che la conversione è questione di vita o di morte. Difficile sentire questo appello urgente, coinvolti in un nostro mondo superficiale e materialista, travolti dai ritmi frenetici di una vita che corre senza sapere dove sta andando. Eppure indispensabile, perché i fatti di ogni giorno ci ricordano che camminiamo continuamente tra la vita e la morte. La realtà non smette mai di provocare la nostra coscienza. Spalanca domande, a cui non possiamo sottrarci troppo a lungo.


Vita e morte

Ai tempi di Gesù, ad esempio, era successo un fatto orribile. Dei poveri « Galilei » erano stati sgozzati da Pilato, proprio mentre offrivano i « loro sacrifici » (Lc 13,1) a Dio. Una morte spaventosa, senza dignità. Anche perché il sangue, nella mentalità ebraica, conteneva la vita stessa dell’uomo. Perciò il suo mescolarsi con il sangue degli animali era ritenuto davvero un destino infame e vergognoso. Pilato, probabilmente, aveva ritenuto necessario sfoderare ancora una volta i muscoli davanti agli Israeliti, per ricordare loro chi comandava a quel tempo in Palestina. Quando questo fatto però viene riferito a Gesù, la sua risposta è a dir poco sconcertante: « Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo » (13,2-3). Il Maestro cambia radicalmente il punto di vista, facendo breccia nei pensieri non detti dai messaggeri di sventura. Addirittura, cita un altro fatto di cronaca nera, la rovina di una torre che aveva ucciso « diciotto persone » a « Gerusalemme » (13,4), per ribadire la stessa domanda - « credete che fossero più colpevoli ? » - e per rilanciare lo stesso avvertimento: « Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo » (13,5). C’è un significato da scoprire in questa reazione strana e, apparentemente, indelicata del Signore Gesù. Come in molte altre occasioni, anziché stare al gioco delle nostre domande, il Maestro ci costringe a riconoscere con quale domanda ci stiamo ponendo di fronte alle cose. Siamo infatti esseri dialogici, obbligati a porci domande di senso sui fatti e sulle situazioni che incontriamo nella vita. Ma un rischio è sempre dietro l’angolo: farci le domande sbagliate!


Da lontano

Con le sue esclamazioni e con le sue domande, il Maestro ci vuol dire che la paura che in noi sorge di fronte ad una tragedia o a una disgrazia, è il frutto di una domanda sbagliata. Oggi, così come duemila anni fa, noi tendiamo a porci in modo distaccato davanti alle cose brutte e dolorose che capitano. O filosofeggiamo su Dio, cominciando a mettere in discussione la sua sedicente universale bontà. O iniziamo a mormorare, ritenendoci in qualche modo superiori agli altri e, in un certo senso, anche a Dio. E non ci accorgiamo che attraverso questi atteggiamenti noi ci poniamo a distanza di sicurezza dagli avvenimenti. Ci schermiamo dietro sottili giudizi, pur di non riconoscere che siamo anche noi privi di sicurezze, che « chi crede di stare in piedi » deve guardare « di non cadere » (1Cor 10, 12). Quante volte, di fronte alle prove della vita, non facciamo che rimbalzare di fronte al muro impenetrabile delle solite domande: ‘Perché questa cosa è successa a me?’, ‘Perché questa malattia, questa rottura proprio nella mia famiglia?’, ‘Chissà quando sarà il mio prossimo turno per soffrire?’, ‘Ma perché non arriva mai per me l’occasione di poter essere un po’ felice e in pace?’. E continuiamo a stare male, senza trovare alcuna consolazione nella fede, arrabbiandoci. La voce di Gesù ci fa capire che non esistono risposte a tutte le domande che esplodono nel nostro cuore. Dio ha creato il mondo dentro una certa libertà, per cui non è tutto riconducibile puntualmente al suo volere o alla sua progettazione. Piuttosto, anziché incavolarsi perché i nostri interrogativi non trovano risposta, quando la vita diventa inspiegabile, è meglio cambiare domanda. Se continuiamo a sbattere contro lo stesso muro, forse dobbiamo accettare il fatto che un muro non è una porta, che dobbiamo fare un passo altrove e convertire il nostro pensiero.


Da vicino

Le Scritture ci mostrano un Dio che non si pone in modo distaccato e filosofico davanti alla storia umana. Nel racconto dell’Esodo, dove Mosè vive l’esperienza del roveto ardente, noi scopriamo il volto di un Dio che davanti al dramma di una storia umana segnata dal male e dal peccato sceglie di avvicinarsi e di coinvolgersi con essa. Dice il Signore a Mosè: « Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto... » (Es 3,7-8) fino a rivelare il suo nome: « Io sono colui che sono! » (3,14), che significa: Io ci sono e ci sarò, Io sono con voi. Un nome splendido che in Cristo, il « Dio con noi » (Mt 1,23), assumerà la sua rivelazione piena. Anche nella parabola di Gesù troviamo lo stesso volto accondiscendente. Il Maestro racconta di un fico sterile, che incontra la pazienza e la premurosa cura di un padrone che si lascia convincere dal suo vignaiolo: « Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se non, lo taglierai » (Lc 13,8). Se da lontano le cose sembrano talvolta orribili e irrimediabili, da vicino scopriamo che ogni cosa ha un destino di santità, perché ha a che fare con Dio e con il mistero della sua misericordia. Forse dobbiamo semplicemente smettere di farci domande (sbagliate) e lasciare che gli avvenimenti tristi e dolorosi della nostra storia domandino al nostro cuore di lasciarci ancora coinvolgere. Quale domanda contengono le tragedie che in questi giorni abbiamo letto sui giornali: il disastro di Haiti, il terremoto in Cile, la mediocre vita politica e sociale del nostro Paese? Un invito ad aprire la porta della generosità, a coinvolgerci concretamente per una società più giusta e più dignitosa. Nella vita non possiamo pretendere di capire tutto, soprattutto le cose che hanno ferito o spaccato in due il nostro cuore. Ma possiamo permettere alla vita di comprenderci nel suo mistero, di coinvolgerci di più e meglio nei suoi profondi bisogni, che in parte Dio ha affidato alla nostra libertà. Il Signore c’è, e con il suo amore sostiene questo mondo che soffre e muore ogni giorno. E noi, ci siamo? Sotto un cielo paziente, siamo chiamati a tirare fuori il meglio della nostra umanità.


Commenti

suor anna ha detto…
Sono rimasta colpita da come Dio è intervenuto su Mosè attraverso il roveto ardente luogo della Sua teofania. Mosè si deve togliere i sandali perchè il luogo dove Dio si sta manifestando è sacro. Ho pensato che noi siamo la terra sacra di Dio ed è così che ci possiamo accostare l'uno all'altro e nelle situazioni che ci capitano.Io sono soltanto la sua terra e lui l'IO SONO. Lui l'Angelo di fuoco io solo un roveto che Dio non distrugge con il suo calore ma purifica con il suo fuoco d'amore per rendermi forte di lui e di lui solo testimone. Gesù è la terra bella e spaziosa dove io posso danzare con gli altri la gioia di esserci così come siamo, Gesù è la roccia e noi la terra dove lui si poggia, lui la sorgente e noi con lui un prato fiorito dove scorrono "latte e miele", tenerezza e compassione.Non c'è realtà più bella!!!