Venerdì - IV settimana del Tempo Ordinario

Letture: Sir 47,2-13 / Sal 17 / Mc 6,14-29


REGNARE



La narrazione biblica ci presenta la figura del Re Davide in tutta la sua drammatica bellezza. Giovane pastorello sprezzante del pericolo, impulsivo peccatore pronto a chiedere scusa, appassionato servo di Dio e geniale re di Israele. Nei giorni scorsi lo abbiamo visto cedere alla tentazione di conteggiare i propri possedimenti, ma poi lucidissimo nell'indicare le strade più nobili al figlio Salomone, quando ormai si trova sul letto di morte. La pagina del Siracide di oggi tratteggia un magnifico apologo di Davide, passando in rassegna le sue qualità umane che si manifestarono dopo che «fu scelto tra i figli d'Israele» (Sir 47,2). Egli «scherzò con leoni come con capretti» (47,3), «nella sua giovinezza» (47,4) sconfisse «la tracotanza di Golia» (47,5) perché «aveva invocato il Signore, l'Altissimo» (47,6). Ma soprattutto, «in ogni sua opera celebrò il Santo» (47,9) e «cantò inni a lui con tutto il suo cuore e amò colui che lo aveva creato» (47,10). Davide fu capace di esprimere con profonda libertà interiore tutta la ricchezza del suo animo, passando anche attraversò l'esperienza amara dei «suoi peccati» che «il Signore perdonò» (47,13). Il re Davide amò molto, perché molto si sentì amato (cf Lc 7,47).


Di tutt'altra pasta era fatto il «re Erode», pavido gerarca capace di trasformare le «dolci melodie» (47,11) di un «banchetto per il suo compleanno» (Mc 6,21) in una macabra danza di morte. Il dettagliato racconto dell'evangelista Marco apre una triste finestra sull'animo di questo alto funzionario dell'impero romano. Lo dipinge indeciso e fragile, incapace di esprimere fino in fondo la propria libertà. Fa arrestare «Giovanni il Battista» (6,14), il quale lo rimproverava perché aveva sposato Erodìade, la moglie di suo fratello «Filippo» (6,17). Tuttavia non ha il coraggio di ucciderlo - secondo il desiderio di Erodìade - perché sapeva che era un «uomo giusto e santo e vigilava su di lui». Infatti, «nell'ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri» (6,20). Questa debolezza nascosta in fondo al cuore di Erode viene manipolata dalla moglie quando la casa è piena di ospiti per il suo compleanno. Per paura del giudizio «dei commensali» il «triste» (6,26) re non riesce ad opporre un rifiuto né alla sua coscienza, né a chi gli sta facendo commettere un crimine. E la testa del profeta Giovanni diventa la tragica ultima portata di un assurdo banchetto di morte.


Dalle nostre scelte e dai nostri interiori equilibri non dipendono quasi mai decisioni così importanti come quelle che, nei tempi antichi, prendevano i re. Ciò nonostante siamo tutti responsabili di dover quotidianamente amministrare la nostra libertà, attraverso le piccole e grandi scelte che siamo chiamati a prendere. Le paure non affrontate restano pericolosamente conficcate dentro la nostra libertà, pronte a generare dolore e angoscia. Le passioni del cuore, portate alla luce - magari passando attraverso il fallimento provvisorio che è il peccato - possono invece diventare «melodie» e atti di amore, momenti significativi di «un'alleanza regale» che il Signore ci concede «per sempre» (Sir 47,13).


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