IV Domenica di Avvento – Anno C

Letture: Mi 5,1-4 / Sal 79 / Eb 10,5-10 / Lc 1,39-45


LA GIOIA DI CREDERE



Leggeri (I domenica di Avvento), semplici (II), accesi di speranza (III). Pronti per il Natale? No, manca l'ultima tessera del mosaico, che dà il senso a tutto l'itinerario che la liturgia ci ha fatto compiere in questo tempo forte. Ce la regala quest'ultima domenica di Avvento, nella quale proviamo a fare un tuffo dentro il cuore in festa di Maria, la giovane donna che per prima ha aperto le porte alla gioia del Vangelo.


Piccolezza

Era scritto - forse non con l'evidenziatore - nelle pagine sacre dei profeti: «E tu, Betlemme di Èfrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore di Israele» (Mi 5,1). Il Messia sarebbe venuto fuori da una piccola borgata, celebre tuttavia per dato i Natali al Davide, il piccolo pastore divenuto il più celebre re di Israele. A Dio piace fare così: regalare senza presentare il conto, condividere, includere. Per questo sceglie volentieri le cose e le persone piccole, perché più facilmente si aprono al dono, si lasciano trasformare. Dalle «origini» del mondo e fin «dall'antichità» (5,1) il Signore è in dialogo con la piccolezza dei figli di Adamo, a cui dice: 'Non passare il tempo a contarti e a misurarti, tu - benché semplice creatura - nelle mie mani puoi diventare una sorgente di vita. Smetti di concepirti come la somma dei tuoi difetti, come il prodotto dei tuoi limiti; tu sei un grembo capace di generare'. Oh, povera nostra società, che ha ormai annoverato come intralcio e sventura la possibilità di generare la vita. Tutta protesa a suscitare nelle giovani generazioni il sogno di un bel ventre piatto - che non deve gonfiarsi, sfacciatamente occupata a legalizzare veleni contro il germogliare di una nuova vita inattesa (E quando mai lo sbocciare di una vita può non essere una sorpresa?!). Povera forza creatrice di Dio, che resta in fila ad attenderci, dopo che ci siamo dedicati ai mille svaghi e interessi con cui sciupiamo il tempo! Povero Dio creatore, in perpetua attesa che «colei che deve partorire» (5,2) - la nostra responsabilità di uomini e donne - finalmente partorisca, che la nostra umanità raccolga finalmente la sua vocazione a servire, anziché cercarsi continuamente un posto al sole!


Il corpo

Certo, prima di poterci vedere come un grembo è necessario accettare il fatto di essere un corpo, maturare uno sguardo serio e sereno sulla nostra vita. Senza esserne troppo coscienti, viviamo dentro una costante difficoltà ad accogliere il nostro corpo, cioè la nostra storicità e la nostra concretezza in questo mondo. Saranno stati quelle persone che ci hanno caricato di pretese e di aspettative. Saremo stati noi che abbiamo idolatrato troppo a lungo qualcosa di cui potevamo disporre. Fatto sta che, il rapporto con noi stessi ha perso di equilibrio e la vita ha cominciato ad essere una corsa faticosa e interminabile, dove Dio ci appare come colui che, dietro le quinte, impone «sacrifici» e «olocausti» (Eb 10,6) da compiere, anziché esaudire i desideri del nostro cuore. L'autore della lettera agli Ebrei capovolge questa deformata visione della realtà, spiegandoci il motivo per cui Cristo è entrato «nel mondo» (10,5). Perché la sua umanità, generata dalla sensibilità di Maria, portava con sé questa fiducia nei confronti di Dio: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Allora ho detto: 'Ecco, io vengo' - poiché di me sta scritto nel rotolo del libro - per fare, o Dio, la tua volontà» (10,5-7). Soltanto quando capiamo questo - quanto Dio stia dalla nostra parte - noi diventiamo capaci di spalancare nuovamente le porte al Cristo che viene.


Felicità

Come ha fatto Maria, la giovane ragazza ebrea che ha offerto gioiosamente la propria corporeità alla volontà di Dio, diventando «cantico di lode» (cf Colletta) dell'umanità ferita dal peccato originale. Dopo aver accettato la proposta sconcertante di Dio, superando dubbi e paure, Maria appare ricolma di felicità. E corre, «in fretta» (Lc 1,39), per condividere questo esubero di vita con Elisabetta, sua anziana parente. Mi piace pensare che il motivo della Visitazione di Maria stia tutto qui: nel desiderio di comunicare una gioia traboccante. Non per verificare la verità della promessa di Dio (già creduta!), non per mettersi a servizio dell'anziana parente (perché mai Maria si sarebbe fermata solo tre mesi e non oltre, quando l'aiuto sarebbe stato davvero prezioso!). Dopo aver ricevuto il saluto della cugina Maria, il Vangelo ci informa che Elisabetta comincia a parlare mossa dallo Spirito Santo: «Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beta colei che ha creduto ci sarà un compimento per le cose che il Signore le ha detto» (1,44-45). Ecco il segreto di Maria, ecco la gioia del Natale! La piccola Maria è diventata grembo di Dio perché ha creduto a ciò che ha ascoltato; ha preso sul serio gli indizi che aveva a disposizione interpretandoli come volontà di Dio. Qui - mai altrove - sta la felicità vera che noi esseri umani possiamo sperimentare in questo mondo. Non nel raggiungimento dei nostri obiettivi, non nella perfetta realizzazione dei nostri sogni, molto più semplicemente nell'accogliere come una chiamata la vita che ci sta capitando di vivere, per grazia di Dio. Il problema è che abbiamo perso l'abitudine di ascoltare la vita come una chiamata e la interpretiamo come un'affannosa caccia al tesoro. Manca il nome del vero Artista nella libreria del nostro iPod! Prepararsi al Natale significa riattivare i canali del nostro ascolto. Fermarsi, fare silenzio, imparare a leggere la nostra vita come un'occasione per partecipare alla costruzione del regno di Dio. Ricominciare a vivere dopo un dolore inatteso, portare avanti il peso di una solitudine o di una malattia, superare i confini di un antico rancore, non indietreggiare di fronte alle sfide che il nostro tempo ci pone: ci sono molte domande aperte, parecchi inviti sulla nostra scrivania che aspettano soltanto di essere ascoltati e accolti. Come quelle mail parcheggiate nel nostro computer che attendono risposta da tempo. Aprirsi al Natale, significa riguardare con stupore i sentieri interrotti, le domande difficili, le situazioni scomode e credere che dietro ad esse ci sia la voce di Dio che vuole dialogare con la nostra libertà. E quindi riflettere, meditare, scegliere. Poi sorridere, perché ce la faremo. «Siamo - infatti - stati santificati per mezzo dell'offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre» (Eb 10,10).


Commenti

fralorenzo68 ha detto…
Pace a te fra Roberto!
Grazie ancora per il tuo modo di trasmettere la bellezza della Parola!
è un tutt'uno con l'immagine che colleghi e so solo che mi serve anche a me questo collage per trovare qualche particolare che normalmente passa sotto gli occhi ma che l'attenzione altrui fa notare...
Ti auguro anche delle buone feste giacchè ora si lavora in modo diverso rispetto a quando si è in capitale...e allora Buon Natale!
da un frate del veneto che ti ammira per il tuo impegno in questo modo di comunicare!!!
pax tibi...
Anonimo ha detto…
grazie.. con l'aiuto di Dio e un po' di coraggio, con la sua grazia ce la faremo..Monica
anna ha detto…
Credo che quando un'anima fa di Gesù l'unica sua sicurezza può danzare nel suo corpo la volontà di Dio allora forse sì credo di SI non ci sarà più il deserto della solitudine, il pianto della tristezza, il veleno della pretesa...perchè il nostro corpo sarà gravido della felicità di quella gioia che io stessa bramo di vivere. E' la gioia del cristiano!