III Domenica di Avvento – Anno C

Letture: Sof 3,14-17 / Is 12 / Fil 4,4-7 / Lc 3,10-18


ACCESI



Dopo gli opportuni richiami a leggerezza e semplicità, questa domenica la liturgia decide di orientare la nostra preghiera verso un orizzonte di gioia. Le parole profetiche di Sofonia e gli inviti festosi dell'apostolo Paolo consigliano la letizia come adeguata preparazione ad accogliere il Signore che viene a visitarci nella 'fragile carne della nostra umanità' (san Francesco).


Sorridere

«Rallégrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme!» (Sof 3,14); «Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. Il Signore è vicino!» (Fil 4,4.5). Sarebbe bello riuscire a sintonizzarsi rapidamente con questi imperativi, aderendo al loro invito, ma non è scontato poterlo farlo. La vita non scorre sempre in sintonia con il calendario liturgico e talvolta non si è capaci di sprizzare gioia a comando. Proprio in mezzo ad un Avvento come tanti altri, può succedere di venire visitati dalla malattia, di dover affrontare la morte di una persona cara, di sentirci soli e perduti, profondamente tristi in mezzo ad un mondo caotico ed effimero. E di non aver proprio alcun sorriso da esibire, alcuna speranza stringere al cuore. Anche se magari siamo disposti a credere che il Signore intende rinnovarci «con il suo amore» (Sof 3,17), anche se abbiamo fatto esperienza della sua fedeltà «in ogni circostanza» (Fil 4,6) del nostro cammino. Eppure la Parola ci comanda di essere felici, di partorire sorrisi.


Fare giustizia

Come fare, o meglio «cosa fare?» potremmo chiederci, come già fecero «le folle» radunate attorno a «Giovanni» (Lc 3,10) il precursore del Cristo. Interessante, piena di rivelazione la sua articolata risposta. A tutti diceva: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto» (3,11); ai «pubblicani» invece: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato» (3,13) e ad «alcuni soldati»: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe» (3,14). Cioè: condividete, non esigete, non estorcete. Indicazioni giuste, ragionevoli. Forse non così ovvie però da essere rintracciabili nel nostro planning settimanale, vero?! Non comincia proprio dall'incapacità di condividere la nostra quotidiana ribellione al vangelo? Non è il 'dare' il verbo che facilmente smettiamo di coniugare in prima persona, soprattutto con le persone più prossime a noi? Facilmente poi, la mano chiusa si trasforma in mano violenta, che comincia ad esigere e ad estorcere, fino a diventare capace di trattare male l'altro che ci sta accanto? Giovanni dice che per attendere il Signore dobbiamo continuare (o ricominciare) a mettere giustizia in quello che facciamo, cominciando a fare attenzione proprio alle piccole ingiustizie quotidiane, con cui tendiamo ad isolarci. Prepararsi al natale significa ritrovare il coraggio di dare un sorriso e una parola a chi, forse da tempo, l'attende da noi; rinunciare ad utilizzare logiche di potere per pretendere dagli altri ricariche di affetto e di attenzione.


Immergersi

Se ci rendiamo disponibili ad osservare questi consigli, allora la nostra vita si immerge (ancora) nell'acqua della giustizia, nel confine tra le nostre forze e l'amore di Dio che ci viene incontro. Dice Giovanni: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco» (3,16). Il Natale di Dio nella nostra umanità assomiglia alla venuta di un fuoco, che brucia - come scoria - la parte più fasulla e infantile della nostra esistenza. Le più grandi purificazioni del nostro io egoista avvengono sempre davanti alla forza incandescente di una tenerezza, non davanti alla forza apparente di un rimprovero e di una intimidazione. Proprio facendosi piccolo, povero come noi, Dio viene a gettare un potente giudizio sulla nostra distanza da noi stessi, sulla nostra feriale disumanità. Il mistero dell'Incarnazione diventa imperativo a gioire, nella misura in cui siamo disposti a lasciar mettere in discussione il nostro modo di vivere da un Dio che chiede - ancora una volta - all'umanità di essere semplicemente accolto, di poter porre la sua tenda in mezzo a noi, di poter crescere dentro i confini della nostra libertà. Ricominciare a vivere con attenzione le responsabilità che la vita ci ha affidato è il modo con cui possiamo rispondere positivamente a questo meraviglioso e pazzesco progetto. Il «fuoco inestinguibile» (3,17) dell'amore di Dio può darci la forza di non angustiarci «per nulla» (Fil 4,6) e di rimanere dentro «la pace», quella che «supera ogni intelligenza» e che custodisce i nostri cuori, spesso agitati e stanchi in «Cristo Gesù» (4,7).


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