Venerdì - XXXII settimana del Tempo Ordinario

Letture: Sap 13,1-9 / Sal 18 / Lc 17,26-37


IMPROVVISAMENTE



Se il mestiere di Dio non è certamente facile, non da meno è quello del discepolo. Che quasi sempre non capisce e spesso è costretto a porre domande di chiarimento. Dopo aver ascoltato il Maestro Gesù insegnare che il regno di Dio «non viene in modo da attirare l'attenzione» (Lc 17,20) e che nessuno può dire: «Eccolo qui» oppure: «Eccolo là» (17,21), che cosa chiedono i discepoli? «Dove, Signore?» (17,37)! È imbarazzante e interessante la loro/nostra capacità di ascoltare senza intendere; forse la malattia più cronica diffusa tra gli uomini.


Quasi presagendo questa assurda domanda, il Signore aveva provato ad anticiparla, spiegando che il regno di Dio viene improvvisamente e travolge come un fiume in piena coloro che non lo attendono. Aveva fatto esempi molto forti: il diluvio universale (17,28), la distruzione di Sodoma e Gomorra (17,29), per dire che è inutile cercare un riparo da quanto Dio sta per fare: «In quel giorno, chi si troverà sulla terrazza e avrà lasciato le sue cose in casa, non scenda a prenderle; così, chi si troverà nel campo, non torni indietro» (12,31). Con queste parole Gesù non intende spaventarci - anche perché la venuta del giorno e del regno di Dio è per lui una bellissima realtà, non certo una sventura! Intende invece colpire al cuore un nostro modo di vivere tutto assorbito dai «beni visibili» (Sap 13,1), dietro ai quali non siamo capaci di contemplare «il loro autore» (13,5). Ci lasciamo «prendere dall'apparenza» delle cose, perché «sono belle» (13,7), e così trascorriamo i giorni in funzione di esse. Per usare il linguaggio di Gesù, cerchiamo di salvarci «la vita» (17,33), passando il tempo ad assicurarci le cose che deliziano i nostri occhi e colmano i nostri appetiti. Ma facendo così - il Signore mette in guardia - la vita possiamo solo perderla: «Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà» (18,33). Perché la vita è un dono che viene e torna sempre all'improvviso. A nulla valgono i nostri sforzi di preservarla, garantirla, assicurarla contro traumi e infortuni. Così come un giorno ci è piombata addosso per iniziare a germogliare in questo mondo, così un altro giorno ritornerà nelle mani di Dio nel mondo che verrà.


Esiste in fondo una sola cosa che possiamo fare. Smettere di chiederci «quando» e «dove» e accettare che «qui» e «ora» ci sia chiesto di perdere la nostra vita facendola diventare un dono d'amore. Colui che accoglie questa chiamata attende senza timore il volto di Dio e, così facendo, «manterrà viva» la «propria vita» (17,33).


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