Martedì - XXXII settimana del Tempo Ordinario

Letture: Sap 2,23-3,9 / Sal 33 / Lc 17,7-10


SIAMO SERVI INUTILI



Consapevole di aver gettato nel cuore dei discepoli un insegnamento molto impegnativo (cf vangelo di ieri), osservando il loro viso a metà strada tra lo sconcerto e la depressione, il Signore Gesù aggiunge: «Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: "Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare"» (Lc 17,10). È una frase celebre del vangelo, di cui ci rimangono impresse soprattutto quelle tre parole che spesso ripetiamo per affrancarci da qualche responsabilità o per alimentare un pochino la nostra già ferace disistima. Il senso di queste parole mi sembra stia da tutt'altra parte.


Viene chiarito anzitutto dalla breve parabola iniziale, dove il Maestro invita a ragionare per paradossi: «Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: "Vieni subito e mettiti a tavola?" Non gli dirà piuttosto: "Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto e dopo mangerai e berrai tu?"» (17,7-8). Già, chi di non preferisce farsi servire, anziché mettersi a servizio? 'Prima noi, poi gli altri': questo è il motto della nostra società egoista ed economica; giusto? Amando così tanto il farci servire, ci diventa oltremodo pesante vivere nella logica del servizio. E, naturalmente, Dio diventa l'esigente padrone che ci tira il collo dalla mattina alla sera, facendoci capitare questo e quell'altro, non regalandoci le occasioni che aspettiamo, indugiando nei favori e nelle richieste che gli abbiamo presentato.

Le parole del Maestro ci fanno aprire gli occhi, aiutandoci a capire che in realtà è tutto il contrario. Dio è a nostro servizio dalla mattina sera. Ci dona, senza chiedere nulla, ogni cosa. E quando torniamo dai nostri mille impegni, egli è sempre pronto a farci sedere alla mensa della sua amicizia. Ci accoglie e ci sorride senza stancarsi mai della nostra vita. Siamo noi invece che, appena possiamo, mettiamo l'altro a servizio dei nostri capricci, senza ascoltarlo, senza magari nemmeno incontrarlo. Noi, tutti impegnati, a potenziare il nostro io, continuamente oscillanti tra ansie di prestazione e spaventose insicurezze. Mai veramente liberi dal giudizio altrui, mai sereni fino in fondo.


«Siamo servi inutili». Ripetere queste parole, dopo averle capite, può essere oggi il nostro antivirus, dai veleni del nostro ego malato e cialtrone, che ci priva della semplicità di arrivare a sera «nella pace» (Sap 3,3), felici di aver fatto «quanto dovevamo fare». Sì, è vero, non siamo indispensabili, potevamo persino non esistere. Eppure Dio ci ha creati «ad immagine della propria natura» (2,23) e ha messo nel nostro cuore una «speranza piena d'immortalità» (3,4). Ma il segreto di questa immortalità non è la cura maniacale della nostra vita e dei suoi dettagli. È - più semplicemente - la scoperta che la nostra vita ha un valore che prescinde - sempre - da quello che facciamo o gli altri fanno a noi. Un valore che si può misurare solo davanti a Dio, quel Padre che è servo inutile di tutti noi, perché sempre ci trova «degni di sé» (3,5) e del suo «amore» (3,9).


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