Martedì - XXXI settimana del Tempo Ordinario

Letture: Rm 12,5-16 / Sal 130 / Lc 14,15-24


ADESSO NO



«Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!» (Lc 14,15) esclama uno dei commensali di Gesù, dopo aver sentito le sue belle parole e i suoi insegnamenti. Già, «beati gli invitati alla cena del Signore» ripetiamo noi credenti nel cuore di ogni celebrazione eucaristica. Cosa potremmo aspettarci di meglio che essere invitati a cena da Dio per sempre? La replica immediata del Maestro Gesù però è graffiante, spegne i facili entusiasmi. Racconta di un uomo che organizza una «grande cena» e spedisce «molti inviti» (14,16) dicendo a tutti: «Venite, è pronto» (14,17). «Ma tutti, uno dopo l'altro» cominciano a «scusarsi» (14,18), con validissimi motivi: chi ha acquistato «un campo» (14,18), chi «cinque paia di buoi» (14,19), chi una sposa. E nessuno riesce a «venire» (14,20). Fuori metafora, il Signore sta dicendo: sì, è un'idea fantastica il mio regno; il problema è che voi restate fuori, accampate scuse, rimandate a domani. Come quando - da piccoli - la mamma chiamava a tavola e, nel bel mezzo del gioco, si rispondeva: 'Arrivo subito', 'Tra cinque minuti'. Ma come possiamo essere così folli, da perdere tempo in quisquilie anziché afferrare la grande occasione che Dio continuamente ci offre?


Illuminanti le parole di san Paolo, che riflettendo sul mistero dell'umanità che aderisce al vangelo (la chiesa) ricorda a tutti che «noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e, ciascuno per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri» (Rm 12,5). Molte volte ci chiudiamo nei nostri affari e nelle nostre tristezze, proprio quando smarriamo la coscienza di essere «uno solo corpo» e di avere «ciascuno» qualcosa da compiere per costruire il sogno di Dio. Nella vita capita - oggi più che mai - di sentirsi soli; e di esserlo in qualche modo. Esiste però una solitudine supplementare che noi aggiungiamo, quando ci dimentichiamo che l'aiuto può arrivare solo dall'esterno, quando rifiutiamo categoricamente ogni mano tesa che si intrufola nelle nostre fessure. Accovacciati in questa ombra, ci sfugge il fatto che la nostra vita ha una missione da svolgere, un compito da esercitare con «semplicità», «diligenza» e «gioia» (12,8). Certo, qualcuno riceve da Dio grandi incarichi, «doni» speciali. Tutti però siamo raggiunti da una universale chiamata a trasformare la nostra vita un atto d'amore: «Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete con quelli che sono nel pianto» (12,14-15). Questo è l'invito ad entrare nel banchetto. Prenderà il cibo nel regno di Dio, chi oggi si lascia invitare alla mensa del servizio e della carità. Non è indispensabile essere riposati, pieni di buoni sentimenti e carini. Basta rispondere, con semplici gesti di disponibilità e di attenzione: fare bene un lavoro, consolare un amico, abbracciare il compagno di viaggio. Se guardiamo bene, le porte del Regno sono ancora spalancate davanti a noi. Adesso.


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