XXV Domenica del Tempo Ordinario – Anno B

Letture: Sap 2,12.17-20 / Sal 53 / Gc 3,16-4,3 / Mc 9,30-37


ABBRACCIARE




Il Signore riapre i canali della nostra capacità di comunicazione; ci restituisce l'ascolto e la parola. Ma noi non siamo capaci di accogliere docilmente la sua voce, perché pensiamo secondo gli uomini e non secondo Dio. Esiste un'abbondante distanza tra il nostro modo di ragionare e quello di Dio. I profeti dicevano che era pari a quella che separa il cielo e la terra: infinita! Uno dei motivi è già emerso nel confronto tra il Maestro e il primo della classe tra i discepoli (Pietro): lo scandalo della croce, che per noi è un facile inciampo, mentre per Cristo è solo un passaggio che l'amore compie prima di risorgere. Noi al contrario, anziché lasciarci piegare dalla sofferenza - quando capita - tentiamo di alzare un po' la nostra statura, sollevandoci sulle punte dei piedi. Come facevano i discepoli, mentre il Signore annunciava la sua passione, essi discutevano «tra loro chi fosse più grande» (Mc 9,34). Diventiamo abbastanza ridicoli quando tentiamo di sfuggire all'inciampo della sofferenza: cerchiamo di essere e di apparire più degli altri, quando non arriviamo addirittura a scaricare sugli altri la nostra rabbia, soprattutto nei confronti del debole e del giusto che, proprio con la sua vita è «per noi è d'incomodo e si oppone alle nostre azioni» (Sap 2,12).


Tutto sbagliato dice il Maestro Gesù: «Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servitore di tutti». Solo così si interpreta correttamente la vita e, di conseguenza, la si vive bene. La missione della nostra umanità è un servizio di amore. Fino a quando non ci arrendiamo a questa meravigliosa chiamata - soprattutto quando di svolge dentro momenti oscuri e dolorosi - continueremo a porci sopra o contro gli altri, nel tentativo di fuggire l'incontro con la debolezza che si spaventa. «E preso un bambino, Gesù lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: 'Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me'» (Mc 9,36-37). In questo abbraccio c'è l'indicazione di un'altra strada, insieme alla rivelazione del nostro problema. Abbiamo paura di accettare la nostra irriducibile piccolezza, quella parte di noi (e degli altri) che non rientra in alcun progetto di umana grandezza. Questo rapporto imbarazzato con il limite è la fonte dei nostri deliri di potenza, la tensione negativa che arma di aggressività le nostre mani, che ci spinge a sollevare la nostra piccola vita sulle punte dei piedi. In attesa di un riconoscimento, di un dignitoso riscontro. E invece è tutto più semplice. I limiti - tanti, ovunque - non sono i difetti da eliminare, ma i luoghi in cui poter esercitare l'amore che accoglie e abbraccia.


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