Sabato - XXX settimana del Tempo Ordinario

Letture: Rm 11,1-2.11-12.25-29 / Sal 93 / Lc 14,1.7-11


PRESUMERE



Dopo aver dilatato il cuore verso i suoi connazionali, Paolo ammonisce i suoi fratelli nella fede, interrogandoli: «Io domando dunque: Dio ha forse ripudiato il suo popolo? Impossibile!» (Rm 11,1). La preoccupazione dell'apostolo è che i cristiani, sentendosi scelti e amati da Dio, possano cominciare ad essere «presuntuosi» (11,25), dimenticandosi che Dio «non ha ripudiato il suo popolo, che egli ha scelto fin da principio» (11,2). La presunzione è un brutto modo di concepirsi, che nella lingua greca trova una felice espressione: conoscersi da se stessi. Guardarsi allo specchio, potremmo dire noi oggi. Paolo invita i suoi amici credenti a non cadere in questa tentazione, proprio dopo aver conosciuto il «mistero» (11,25) del «vangelo» (11,28). Presumere significa tornare ad essere soli, non fissare lo sguardo sull'origine delle cose che ci fanno star bene. Questo atteggiamento ci spinge, presto o tardi, velatamente o esplicitamente, ad azzardare il passo verso la ricerca di un posto d'onore, dove ricevere stima e riconoscimento. Non è proprio questo delicato meccanismo che muove gran parte dei programmi televisivi in onda ogni giorno sulle nostre televisioni? Programmi in cui il nostro io in cerca di protagonismo viene lusingato, esposto, superficialmente appagato e poi abbandonato.


È la ricerca del primo posto, malattia antica e giovane, che già il Maestro notava nella sua gente. Diceva loro: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: "Cedigli il posto!". Allora dovrai con vergogna occupare l"ultimo posto» (Lc 14,9). Il Signore non sta evidentemente esortandoci al vittimismo o alla rassegnazione. Sta cercando di evitarci lo schianto contro le illusioni che ci fabbrichiamo per non fare i conti con ciò che siamo. Quante volte infatti compiamo stupidaggini, negli affetti, nelle relazioni, pensando che la vita con noi è stata avara o beffarda. E allora proviamo a rimediare esaltando un po' la nostra piccola figura. Dentro di noi cova il sospetto esplicitato dalle parole di Gesù: che l'altro sia sempre, in qualche modo, «più degno» di noi. Ma in realtà le cose non stanno affatto così. Ciascuno di noi è degno di Dio e del suo «onore», perché è suo «amico» (14,10). E il desiderio di Dio è poter dire a tutti: «Amico, vieni più avanti!» (14,10). La parola del vangelo vuole ricondurci a questa relazione di amicizia con Dio e con la sua fedele paternità. Gli amici non hanno bisogno di presumere in alcun modo l'affetto e la presenza dell'altro. Gli amici non hanno bisogno di accaparrarsi un posto ragguardevole nel cuore dell'altro, perché sanno che «i doni» della fiducia e della stima reciproca sono «irrevocabili» (Rm 11,29). Questa oggi può essere la nostra pace, la sconfitta di ogni inutile presunzione. Se Dio ci ha donato una vita, un corpo, una storia, un passato e un futuro, si prenderà sempre cura di noi. «Impossibile» (11,1) il contrario!

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