Mercoledì della VI settimana del tempo di Pasqua

Letture: At 17,15.22-18,1 / Sal 148 / Gv 16,12-15


GRADUALITÀ



Non fu certo un disastro. Anzi, con la sua non comune capacità di entrare in dialogo con ogni contesto culturale, l'apostolo Paolo riuscì a farsi ascoltare volentieri «in mezzo all'Areopago» (At 17,22). Il suo spirito di osservazione e la sua profonda intelligenza gli permisero di saper catturare prima l'attenzione dei «cittadini ateniesi», ai quali disse: «Vedo che in tutto siete molto religiosi. Passando infatti e osservando i vostri monumenti sacri, ho trovato anche un altare con l'iscrizione: 'A un dio ignoto'» (17,23). E poi di compiere il grande annuncio evangelico: «Ebbene, colui che, senza conoscerlo, voi adorate, io ve lo annuncio» (17,23). Forse però il suo ardore si spinse troppo oltre, arrivando in pochi minuti ad annunciare la risurrezione dai morti di «un uomo» designato da Dio. A quelle parole «alcuni lo deridevano, altri dicevano: 'Su questo ti sentiremo un'altra volta'» (17,31). Quando poi l'apostolo arrivò a Corinto (successiva tappa del suo viaggio missionario) fu costretto a riconoscere che non è «l'eccellenza della parola o della sapienza» poter convertire gli uomini al mistero di Cristo, ma solo l'unzione dello Spirito Santo che è legata alla parola della croce: «Io ritenni di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso. Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio» (1Cor 2,2-4). 


Ogni apostolo impara a sue spese quanto sia necessario un cammino per poter giungere o per condurre gli altri verso «tutta la verità» (Gv 16,3). E, soprattutto, di come all'interno della verità che Dio ha rivelato il mistero della croce abbia una centralità indiscutibile e imprescindibile. Proprio queste motivazioni suggeriscono al Signore Gesù di mantenere una prudente e intelligente gradualità nell'introdurre i suoi discepoli verso la pienezza della fede: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso» (16,12). Il Maestro ha saputo fermarsi prima che lo «spettacolo» (Lc 23,48) della croce accecasse il cuore dei discepoli, affidando allo Spirito Santo il compito di continuare a annunciare il mistero di Dio. C’è infatti un «peso» (Gv 16,12) specifico che ogni verità porta con sé, che non sempre siamo capaci di «portare» (16,12) nel nostro cuore. In molte relazioni che viviamo, spesso trascuriamo di chiederci a che velocità convenga viaggiare, lasciandoci il più delle volte vincere dall’ansia di manifestarci oppure di inghiottire l’altro dentro i nostri bisogni. Ma chi ama non ha e non può avere fretta, perché l’amore riesce a mettere al centro non il proprio bisogno ma quello dell’altro. L’amore è «paziente» e non è «invidioso» (1Cor 13,4). Certo, bisogna fare attenzione che una necessaria gradualità non si trasformi, colpevolmente, in superficialità e rassegnazione. La lezione dell’apostolo ad Atene può rimanere un perenne monito a non dimenticare mai di mantenere al centro del nostro cuore «la parola della croce» (1,18), anche quando percorsi più comodi e accomodanti si presentano davanti alla nostra volontà. La parola della croce è continuamente sottoposta al rischio di apparire imprudente «stoltezza», ma «per noi» resta l’unica «potenza di Dio» (1,18) capace di offrire un fondamento solido alle «cose future» (Gv 16,13) che «il Padre possiede» (16,15) e che lo Spirito «prenderà» e ci «annunzierà» (16,15). 


Commenti