Giovedì – XXXI settimana del Tempo Ordinario

Letture: Fil 3,3-8 / Sal 104 / Lc 15,1-10


PIÙ GIOIA



La liturgia della Parola di oggi è tutta pervasa da un'atmosfera gioiosa, che vuole raggiungerci proprio là dove sono nascosti i tesori della nostra vita, nel luogo personale e segreto dove ciascuno di noi pone la sua «fiducia» (Fil 3,3). 


Paolo era un uomo a cui non mancavano certo possibilità e privilegi, davanti a Dio e davanti agli uomini del suo popolo: «Circonciso l'ottavo giorno, della stirpe d'Israele, della tribù di Beniamino, ebreo da Ebrei, fariseo quanto alla legge» (3,5). Eppure quando il Signore «cerca attentamente» (Lc 15,8) quest'uomo «irreprensibile» (Fil 3,6) per rivelare a lui la grazia del Vangelo, il futuro apostolo delle genti scopre qualcosa di più bello del «poter confidare nella carne» (Fil 3,4), facendo esperienza della «sublimità della conoscenza di Cristo Gesù» che non esita a riconoscere «mio Signore» (3,8). Il fariseo Saulo diventa il cristiano Paolo quando arriva a fare esperienza della gioia di Dio, che non si dà pace quando «perde» una delle sue creature e quindi «va dietro» ad essa «finché non la ritrova» (Lc 15,4). Allora, «ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini» (15,5-6) e condivide con loro la felicità dell'amicizia ristabilita. Paolo, attraverso un percorso esistenziale sofferto e drammatico, arriva a scoprire il volto di un Dio che non aspetta altro che la nostra «conversione» (Lc 15,7) al suo amore per noi, «tutto contento» di portarci sulle spalle fino alla nostra vera dimora. Paolo giunge finalmente a contemplare il volto di un Dio che non considera affatto un peso il doverci portare sulle sue forti spalle, proprio come fa un padre con il suo piccolo.


Fino a quando non saremo convinti che la nostra vita non è un fagotto dimenticato o sopportato malvolentieri, ma continuamente cercato e amato da un Padre che ci ama e ci chiama, non potremo che cercare e ricercare continuamente di «avere fiducia nella carne» (Fil 3,3), portando avanti il tentativo sterile e noioso di trovare la felicità nelle cose fabbricate e pianificate dalla nostra volontà. Fino a quando non capiremo che Dio ci attende in ogni istante per donare al nostro povero cuore la luce bella del suo sguardo, difficilmente saremo disposti a spegnere tutto, a prendere meno impegni per dedicare un po' del nostro tempo alla preghiera. Finché non arriveremo ad esclamare anche noi «mio Signore» davanti al volto e alla parola di «Cristo» non sapremo far altro che cercare il nostro «guadagno» nelle cose e nelle situazioni di questo mondo, le quali quando non ci appaiono più come un dono dell'amore di Dio diventano tragicamente «una perdita» (Fil 3,7), che prima o poi la nostra coscienza è costretta a riconoscere.


La nostra vita può cambiare sempre, fino all'ultimo. Soprattutto quando riconosciamo che c'è «più gioia» (Lc 15,7) di quanta ne stiamo sperimentando, che c'è più vita di quella per la quale ci vantiamo o ci vergogniamo ogni giorno, che c'è un Dio «tutto contento» di noi e ci cammina «dietro» (15,4), per donarci ancora una volta il suo sorriso, che è la nostra pace.


Commenti

Anonimo ha detto…
grazie di questo tuo scritto,è da poco che mi aggiro nel tuo blog,e devo dire che mi sta aiutando tanto a riscoprirmi amata a accolta da Dio...roberta