Martedì – XXVIII settimana del Tempo Ordinario

Letture: Gal 5,1-6 / Sal 118 / Lc 11,37-41


RESTARE LIBERI



San Paolo ci dà il buon giorno con un'affermazione che potrebbe risultare abbastanza scontata: «Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi» (Gal 5,1). Ovvio, diremmo noi: se Dio ci ha regalato la libertà, mica revocherà la sua decisione!? Certamente no, anche perché – è sempre l'apostolo a parlare – «i doni (e la chiamata) di Dio sono irrevocabili» (Rm 11,29). Ma san Paolo sta mettendo in guardia noi, non in dubbio la scelta del Signore. Aggiunge infatti un'esemplificazione utile: «Se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà nulla» (Gal 5,2). I Galati stanno tentando di ricominciare a vivere secondo la logica della circoncisione, il segno «esterno» (Lc 11,39) che garantiva agli occhi l'appartenenza a Dio e l'accesso alla sua eredità. È un momento cruciale e drammatico quello in cui, nella nostra vita di fede, iniziamo a rimetterci quei quattro stracci per assicurarci un'immagine decorosa di fronte allo sguardo e al giudizio degli altri. Ogni giorno, in infiniti modi, permettiamo al «giogo della schiavitù» (Gal 5,1) di cadere sulle nostre spalle, tutte le volte che aggiungiamo maschere e lifting al nostro volto, nel tentativo – assurdo e faticosissimo – di essere ciò che gli altri desiderano (esibizionismo), ciò che noi vorremmo (perfezionismo), ciò che la società si aspetta da noi (conformismo), per racimolare quei quattro maledetti spiccioli di affetto con cui riempire il ventre della nostra solitudine. Proviamo a pensare a quante energie spendiamo quotidianamente per smacchiare la nostra immagine e addobbarla come un manichino, invece che occuparci del nostro «interno», quella parte più vera, intima e profonda del nostro essere che non di rado resta «pieno di rapina e di iniquità» (Lc 11,39), cioè delle nostre miserie che nascondiamo a tutti, forse ormai anche a noi stessi.


San Paolo – per fortuna – è categorico: «Non avete più nulla a che fare con Cristo» (Gal 5,4) se cercate la giustificazione con le vostre forze. Sì, è vero: perdiamo Dio e la bellezza del suo amore gratuito quando i nostri gesti non nascono più dalla gioia liberante del Vangelo, «poiché in Cristo Gesù non è la circoncisione che conta o la non circoncisione» (5,6). E rinunciamo anche gli altri, perché li giudichiamo e ci scandalizziamo quando la loro immagine non corrisponde a quella che noi ci siamo fatti: «Il fariseo si meravigliò che (Gesù) non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo» (Lc 11,38). Come siamo «stolti!» (11,40). E pensare che basterebbe ritrovare fiducia nella possibilità di donare noi stessi, anziché una versione riveduta e corretta di ciò che siamo: «Piuttosto date in elemosina quel che c'è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà mondo» (11,41). Basterebbe ricominciare a donare quel che c'è dentro, cioè mettere noi nelle cose che facciamo. Senza stare ogni momento a guardare se c'è arrivato un sms o a lasciarci esaminare dagli occhi degli altri. Liberi di vivere «per mezzo della carità» (Gal 5,6), di abbandonarsi alla stupidità dell'amore che non vede mai nella debolezza qualcosa di ridicolo o di inutile. Certo, per essere così liberi, forse dovremmo prima arrivare «dentro» noi stessi, là dove accanto alla nostra povertà c'è anche il sorriso di Dio che illumina il nostro volto «per virtù dello Spirito» (5,5).


Commenti

Mimmo ha detto…
Siamo troppo spesso superficiali e per questo ci lasciamo convincere dalle apparenze, da ciò che vediamo in superficie senza fare alcuno sforzo per cercare la vera natura delle persone o cose che abbiamo di fronte.

Per questo finiamo per diventare schiavi dell'immagine che vogliamo dare di noi stessi svelandoci di rado con coloro di cui, "grazie allo Spirito", riusciamo ad avere fiducia.

Prego perchè possa essere sempre più corente ciò che penso con ciò che faccio o dico agli altri e non per mero principio, inflessibilità o tornaconto, ma proprio per potere accogliere meglio gli altri con i loro pregi e difetti forse gli stessi che riconosco in me.