Venerdì - XVII settimana del Tempo Ordinario

Letture: Ger 26,1-9 / Sal 68 / Mt 13,54-58


FORSE



Le certezze affascinano il nostro animo. Sono geometriche, precise, sicure. Nella vita ne abbiamo pochissime, forse una appena: un giorno siamo nati, un giorno moriremo. Tutte le altre certezze sono verità in via di approfondimento, sogni a cui ci piace guardare con ingiustificata ingenuità e un pizzico di incanto. Le certezze non reggono la vita del mondo, perché il consorzio umano è stato fondato per diritto divino sul dono della libertà. E la libertà si nutre di speranze, non di certezze.


Commuove e stupisce l'immagine di un Dio che si pone davanti alla nostra condotta, spesso «perversa», con cosciente e umile fiducia, non con la rocciosa sicurezza di un titano: «Va' nell'atrio del tempio del Signore» dice Dio al profeta «e riferisci a tutte le città di Giuda che vengono per adorare nel tempio del Signore tutte le parole che ti ho comandato di annunziare loro; non tralasciare neppure una parola. Forse ti ascolteranno e ognuno abbandonerà la propria condotta...» (Ger 26,2-3). C'è dubbio, incertezza, attesa nel cuore di Dio: ciò è sorprendente! L'avverbio con cui spesso manifestiamo la nostra indecisione acquista sulle labbra divine la forma di un infinito rispetto nei confronti della nostra libertà e il sapore deciso di una fiducia incrollabile nei nostri confronti. Molto diverso è il significato che lo stesso avverbio assume nella «incredulità» (Mt 13,58) palese con cui i compatrioti del Maestro Gesù reagiscono al suo autorevole insegnamento: «Non è egli forse il figlio del carpentiere? [...] Da dove gli vengono dunque tutte queste cose?» (13,55.56).


Solo l'amore autentico riesce a guardare guardare le cose con stupore e timore, tenendo accesa la speranza che le cose potranno andare meglio e non peggio. Pertanto solo chi ama, mettendo in gioco la propria pelle e la propria anima, non ha paura di rivolgere rimproveri e minacce per suscitare nella persona amata una sincera conversione: «Se non mi ascolterete, se non camminerete secondo la legge che ho posto davanti a voi e se non ascolterete le parole dei profeti miei servi che ho inviato a voi con costante premura, ma che voi non avete ascoltato, io ridurrò questo tempio come quello di Silo e farò di questa città un esempio di maledizione per tutti i popoli della terra» (Ger 26,4-6). La paura invece, quando riesce e mettere radici profonde, impedisce al cuore di stupirsi di fronte alle eccedenze di vita che si manifestano continuamente davanti ai nostri occhi. La paura ci fa inciampare nel dono di Dio e ci impedisce di riconoscerlo: «E si scandalizzavano per causa sua» (Mt 13,57). Per questi «molti miracoli» (13,58) ogni giorno non avvengono: perché rinunciamo a costruire la vita sul rischio della speranza che lascia intatta la nostra e l'altrui libertà.


Vorremmo certezze, ma non ne abbiamo. Nemmeno Dio ne ha. Il cielo e la terra possiedono soltanto un avverbio da pronunciare – forse – che può rivelare speranza o incredulità. Così sta scritto.


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