Martedì - XVIII settimana del Tempo Ordinario

Letture: Ger 30,1-2.12-15.18-22 / Sal 101 / Mt 15,1-3.10-14


DENTRO



Attraversare la notte e la tempesta per non barattare facilmente la parola che Dio sta dicendo nella nostra vita: questo era il messaggio che le Scritture sante ieri ci consegnavano. Oggi scopriamo dove ci porta questo arduo viaggio, che a volta sembra chiederci più di quanto ci dona. Ci porta in un posto splendido, dove tutte le cose ritrovano forma e colori: ci porta dentro noi stessi, nel nostro cuore. Il cuore può essere il nostro paradiso o il nostro inferno. Il Signore non teme di farci aprire gli occhi sulla nostra situazione interiore, come a suo tempo ha fatto Geremia con Israele: «La tua ferita è incurabile, la tua piaga è molto grave. Per la tua piaga non ci sono rimedi, non si forma nessuna cicatrice» (Ger 30,12-13). Israele si era volta ad altri «amanti» (30,14), aveva accolto troppo ingenuamente i culti alle divinità pagane. Inoltre da troppo tempo praticava un culto religioso che era estremamente formale, ma vuoto di verità e di giustizia. Il Signore, amante appassionato, rivolge al popolo eletto il suo grido di gelosia e di compassione: «Perché gridi per la ferita?» (30,15). L'ipocrisia, ai tempi di Geremia come ai tempi di Gesù, restava la patologia più cronica da cui Dio doveva salvare il popolo dei credenti. Nella mentalità religiosa di Israele infatti era molto radicata l'opinione che tra il mondo sacro e quello profano esistesse una rigido confine, che poteva essere oltrepassato solo mediante una fitta trama di leggi e norme. Tra queste, c'erano ad esempio le abluzioni prima dei pasti, segno di rispetto e gesto di purificazione. I discepoli un giorno non le avevano praticate, non perché il loro Maestro li avesse incitati a farlo, istituendo una nuova (e ulteriore) legge: da oggi niente abluzioni! Probabilmente avevano approfittato di una libertà interiore che, insieme al Maestro, avevano cominciato a vivere di fronte a tutte le cose. Naturalmente giunge in fretta la reazione di «alcuni farisei e alcuni scribi» (Mt 15,1), che dicono a Gesù: «Perché i tuoi discepoli trasgrediscono la tradizione degli antichi?» (15,2). Ma il Maestro risponde con un'altra domanda: «Perché voi trasgredite il comandamento di Dio in nome della vostra tradizione?» (15,3).


Gesù cerca di riportare la coscienza di tutti al significato profondo della legge. Dio ha donato al popolo i comandamenti affinché ciascuno diventasse capace di distinguere il bene dal male e imparasse a vivere relazioni fondate sulla verità e sull'amore. I farisei invece sono solo preoccupati di praticare un'osservanza esteriore, senza accorgersi che in tal modo si stanno chiudendo dentro un recinto di solitudine e di rigidità. Certo le siepi offrono protezione e garanzia, ma così la libertà interiore diventa un «fantasma» (14,26), gli altri diventano ombre scure. Se non stiamo attenti le leggi – anche quelle che accogliamo con rispetto e obbedienza da parte della Chiesa – possono diventare tradizioni che non ci fanno maturare, ma ci chiudono dentro la paura e l'ipocrisia. E cominciamo a criticare tutto quello che ci circonda, cercando il colpevole delle nostre tensioni sempre in qualcosa o in qualcuno. Sempre fuori da noi stessi! Ma, dice Gesù: «Non quello che entra nella bocca rende impuro l'uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro l'uomo» (15,11). Le cose sono buone: le ha create Dio! Il problema è come le prendiamo e le mangiamo, cioè come le assimiliamo. Nulla dall'esterno può rendere impura la nostra vita, ma solo il modo con cui scegliamo di viverla. Essere impuri non significa aver commesso uno sbaglio, ma mantenere un rapporto ambiguo tra ciò che siamo dentro e ciò che sembriamo fuori. 


Il Signore Gesù in questo modo ci ricorda che siamo liberi, perché siamo figli amati. Quindi non dobbiamo diventare né superficiali, né ossessionati dalle leggi e dalle tradizioni, ma dobbiamo ricordarci che la loro osservanza ci deve servire a vivere buon relazioni, a costruire la nostra umanità, fino a realizzare il desiderio di Dio: «La città sarà ricostruita sulle rovine e il palazzo sorgerà di nuovo al suo posto» (Ger 30,18). Così è la nuova persona che il Signore desidera costruire in noi: una città forte, edificata sopra le rovine di un formalismo che non può mai farci diventare adulti. Sulle parole del Vangelo di oggi si fonda la libertà cristiana, una dignità che ha bisogno di diventare coraggio e vita, senza ridursi ad un pretesto per giustificare la malizia o la pigrizia nella quale talvolta indugiamo. Una libertà che appartiene a noi per sempre. Perché non dipende da quello che nella vita siamo riusciti a fare o ad essere. È dentro!


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