Giovedì - II settimana di Pasqua

Letture: At 5,27-33 / Sal 33 / Gv 3,31-36


IN FECONDITÀ



Oggi la parola del Vangelo ci costringe a guardare il mistero della vita e l'impegno della conversione «dall'alto», «dal cielo», da un punto che pretende di porsi «al di sopra di tutti» (Gv 3,31). Parlando con Nicodemo, Gesù dice: «Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa» (3,35). Il significato della Pasqua è l'amore eccessivo, «senza misura» (3,34) che unisce il Padre e il Figlio in una relazione fedele e, quindi, ricca di «fecondità» (colletta). Questo amore ha un nome, perché è persona: «lo Spirito» (3,34) che ormai è il dono e il destino dei figli di Adamo, divenuti dopo la Pasqua figli di Dio.


La vita cristiana, per quanto appaia e si manifesti talvolta come un percorso arduo, sgorga da una pienezza di grazia che Dio ha deciso di offrire all'uomo senza alcuna condizione. In forza di questa sconfinata generosità, la vita del credente può correre il rischio di «obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» (At 5,29), cioè di accogliere «le parole di Dio» con fiducia e disponibilità. Questo modo di vivere è chiamato dai cristiani obbedienza nella fede.


Gli apostoli non riuscirono immediatamente a vivere in questo atteggiamento coraggioso e libero davanti al Vangelo della Croce. Ma quando, dopo la Pentecoste, lo Spirito di Dio riuscì ad entrare nel loro cuore e a risanare ogni ferita e ogni peccato, diventarono creature nuove, libere di annunciare «la grazia della conversione e il perdono dei peccati» (5,31). Essi per primi fecero esperienza di quanta forza, gioia e amore possa infondere lo Spirito del Risorto nella vita di coloro «che si sottomettono a lui» (5,32).


Naturalmente si tratta di una sottomissione libera e liberante. Un atto pieno di dignità e di verità di fronte ad un Signore che resta sottomesso a noi dall'alto di una croce. E in uno struggente silenzio ci grida tutto l'amore che ha per noi. E ce lo dona, affinché i nostri giorni tornino ad essere sazi di gioia e fecondi di vita.


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