Martedì della V settimana - Tempo di Quaresima

Letture: Nm 21,4-9 / Sal 101 / Gv 8,21-30


SENZA MORIRE



La misericordia che allarga i confini della giustizia e si manifesta nella compassione del cuore (cf liturgia di ieri) è un percorso lungo e difficile. Nella misura in cui accettiamo di percorrerlo, affrontando tutte le relazioni nelle quali un residuo di rancore e di inimicizia rende opaco o addirittura invalido l'amore, ci ritroviamo a calcare le orme del popolo di Israele che, nell'affrontate l'esodo, «non sopportò il viaggio» (Nm 21,5). Come «gli Israeliti» (Nm 21,4) anche noi cominciamo a lamentarci dopo i primi tentativi di praticare i gesti e le parole del perdono. Perché amare senza essere ricambiati significa diventare, giorno dopo giorno, «nauseati di questo cibo così leggero» (Nm 21,5). Il pane della misericordia non offre immediatamente particolare gusto ai nostri sensi. Per questo ci scoraggiamo ed entriamo in crisi.


D'altra parte rinunciare a vivere il perdono è concreto tradimento al nostro battesimo, perché fa morire la vita di Dio in noi, che «è amore» (1Gv 4,16). I serpenti, che il Primo Testamento fa strisciare ai piedi del popolo in cammino, simboleggiano tutto ciò che ci trattiene dall'assumere il coraggio e le conseguenze del cammino d'amore che siamo chiamati nella vita a percorrere. Infatti il serpente è «colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra» (Ap 12,9), il «padre della menzogna» (Gv 8,44). Sempre nel nostro cuore la menzogna insinua il sospetto che scegliere di amare ancora sia per noi un passo impossibile. Così si alimentano i sensi di colpa e di inadeguatezza e noi camminiamo con il capo chinato verso il basso, stando bene attenti a dove metteremo il prossimo passo. 


Ma la salvezza sta in alto, non in basso: «Mosé allora fece un serpente di rame e lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di rame, restava in vita» (Nm 21,9). Il nostro destino non è precipitare sempre più in basso, dove dimorano i nostri peggiori incubi, ma sollevare gli occhi in alto dove ci attende il mistero di un amore gratuito e infinito. Dice il Signore Gesù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io sono» (Gv 8,28). Sollevando gli occhi verso il segno della croce, che spesso teniamo addosso o vicino quasi come un amuleto, possiamo accorgerci che tutto il male e la violenza che sta dentro di noi è accolta e assorbita dal Figlio di Dio. Nella sua silenziosa sconfitta possiamo riconoscere l’amore che non giudica nessuno. Un amore diverso dal nostro. Un amore divino.


È un cammino molto impegnativo quello dell'amore che si rende disponibile al perdono. Però non è un optional sceglierlo, ma una questione di vita o di morte. Se rinunciamo a fissare lo sguardo sui limiti del nostro piccolo cuore e contempliamo l'amore infinito che Dio ci comunica, allora possiamo ritornare ad essere discepoli che imparano a camminare nella strada del perdono che «non tiene del conto del male ricevuto» (1Cor 13,5), ma «tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (13,7).


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