Lunedì della IV settimana - Tempo di Quaresima

Letture: Is 65,17-21 / Sal 29 / Gv 4,43-54


SENZA VOLTARSI INDIETRO




Il cammino quaresimale prosegue invitandoci a lasciare «tutto ciò che è di peso e il peccato che ci intralcia» (Eb 12,1). Oggi siamo invitati a rinunciare ad un prodotto scomodo e frequente della nostra attività psichica: i ripensamenti, che spesso ci condizionano, ci inseguono, ci bloccano, tolgono anima alle nostre scelte, svuotandole di speranza.


Il profeta Isaia annuncia un tempo nel quale non «si ricorderà più il passato, non verrà più in mente» (Is 65,17). Èto, legittimo e utile, frequentemente si risolve in uno sterile ripiegamento su noi stessi. Rimuginiamo, ripercorriamo, ritorniala secca del nostro cuore dove abitano ancora «voci di pianto, grida di angoscia» (65,19).


Al nostro sguardo manca sempre una cosa essenziale: la promessa di Dio, la Parola capace di immettere speranza certa nel tempo della nostra vita: «Io creo nuovi cieli e nuova terra[...] si godrà e si gioirà sempre di quello che sto per creare» (Is 65,17-18). Il motivo per cui possiamo trascurare i ricordi che ci inseguono e il futuro che resta sempre diverso dai nostri sogni è soltanto la speranza che Dio stia portando a compimento i suoi progetti di vita e di amore per il mondo: «Non ci sarà più un bimbo che viva solo pochi giorni, né un vecchio che dei suoi giorni non giunga alla pienezza» (65,20).


Non è facile affidarsi ad una Parola che il Signore ci rivolge sempre in forma mediata. Eppure proprio nella capacità di ascolto e di conversione si misura la nostra fede reale nel Dio che trasforma la realtà senza troppi «segni e prodigi» (Gv 4,48), ma convertendo continuamente la morte in vita, con amore e discrezione, allo stesso modo in cui – quasi di nascosto – un giorno «aveva cambiato l'acqua in vino» (4,46).


La quaresima è sempre l'occasione di convertire la nostra attitudine allo scoraggiamento in atteggiamento di fede, assimilando e interpretando i poveri segni della ricchezza infinita di gioia e di risurrezione che la Pasqua comunica ad ogni uomo. Il «funzionario del re» (4,46) rappresenta un modello semplice ed autentico di questa desiderabile fede, perché nel buio della sua personale afflizione, non esita a compiere il gesto dell'affidamento, ascoltando la voce del Signore e quindi verificandone con la propria libertà in cammino la sostanza: «Quell'uomo credette alla parola che gli aveva detto Gesù e si mise in cammino» (4,50).


Credere significa camminare a causa di una parola di speranza che Dio ha rivolto al nostro orecchio e che ha raggiunto le profondità del nostro cuore in attesa e in ricerca. Il funzionario cominciò a camminare perché aveva creduto e, nel contempo, credette perché i suoi piedi non rimasero bloccati nella disperazione. Non si voltò indietro, ma andò a verificare il segno della Parola: «Va', tuo figlio vive» (4,50). 


C'è la vita davanti a noi! Solo la vita, perché Dio ha promesso. Il giorno che riceviamo è l'occasione per camminare verso questa speranza «che il Signore ci ha fatto conoscere» (Lc 2,15).


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