Martedì - I settimana del Tempo Ordinario

Letture: 1 Sam 1,9-20 / da 1 Sam 2 / Mc 1,21-28


SILENCE, PLEASE!



Se la risposta di Dio alla nostra tristezza è il Vangelo del regno, non abbiamo che un compito da perfezionare quotidianamente: ascoltare il soffio dello Spirito dentro di noi e attorno a noi. In parole più semplici, dobbiamo ogni giorno imparare a pregare meglio, come la desolata Anna che non teme di presentare a Dio «l'eccesso del suo dolore e della sua amarezza» (1Sam 1,16), ma dopo aver pregato «il suo volto non fu più come prima» (1,18) e «il Signore si ricordò di lei» (1,19).


La preghiera è un momento di estrema verità davanti a noi stessi e davanti a Dio. Per sua natura tende ad essere un'esperienza trasformante e trasfigurante, perché approfondisce misteriosamente la nostra comunione con il Signore. Purtroppo esiste una difficoltà preliminare in questo quotidiano dialogo d'amore, la necessità di percorrere una certa distanza che sempre ci separa da Dio. Il cuore del Signore è bello e caldo, pieno di parole di verità che illuminano l'intelligenza, infiammano la volontà, purificano i nostri sensi. Il nostro cuore invece è spesso arido e duro, mortalmente ferito da una inveterata sordità. Quando ascoltiamo la voce del Signore Gesù facilmente sorridiamo, perché insegna «come uno che ha autorità» (Mc 1,22); ed esclamiamo con stupore: «Che è mai questo?» (1,27). Però poi ripiombiamo dentro le nostre stanchezze, ricadiamo nei nostri radicati vizi. Stanchi e delusi, ci scoraggiamo e lasciamo che la nostra preghiera diventi fiacca, formale ed occasionale.


Forse ci aiuta ritrovare la coscienza che il primo frutto della preghiera non è mai il rifiorire improvviso e definitivo della nostra vita, ma più semplicemente la liberazione dal male che è in noi e ci impedisce di ascoltare la voce di Dio. «Taci! Esci da quell'uomo» (1,25) sono le prime parole che Gesù dice all'uomo «posseduto da uno spirito immondo» (1,23). Quando ci mettiamo in preghiera è sempre un esorcismo simile a questo la preliminare fatica che il Signore deve compiere in noi, per poi poterci comunicare la Buona Notizia della vita nuova. Non sappiamo esattamente perché, visto che siamo ormai suoi discepoli e desideriamo seguirlo, eppure dobbiamo riconoscere che sono proprio dentro di noi le più grandi resistenze al Vangelo. È dentro di noi il sospetto che Dio non possa che complicare ulteriormente le cose: «Che c'entri con noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci!» (1,24).


Silence, please! Dice il Signore quando ci avviciniamo a lui, agitati e lacrimanti come bambini sconvolti dalla paura. È il silenzio interiore il primo miracolo che Dio deve compiere per noi, la sua concreta risposta alla nostra quotidiana invocazione: libera nos a malo.


Non ci spaventi ricordare oggi che la preghiera è anzitutto purificazione e guarigione. Soltanto dopo questo drammatico inizio la preghiera diventa apertura ai doni di Dio e capacità di accoglierli senza egoismo né paura: «Signore degli eserciti, se vorrai considerare la miseria della tua schiava e ricordarti di me, se non dimenticherai la tua schiava e darai alla tua schiava un figlio maschio, io lo offrirò al Signore per tutti i giorni della sua vita» (1Sam 1,11).


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