I Domenica di Avvento – Anno A

Letture: Is 2,1-5 / Sal 121 / Rm 13,11-14a / Mt 24,37-44


SVEGLIA!



Iniziano i giorni dell'avvento e la Chiesa si concede ancora una volta l'occasione di ricordare e attendere la venuta del suo Signore. Lo squillo di tromba che segna l'inizio di questo tempo speciale può condensarsi nelle parole dell'apostolo Paolo: «È ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti» (Rm 13,11).


Ma da quale sonno occorre svegliarci? Da quale letargo dobbiamo uscire, noi cristiani del terzo millennio, immersi in una società indaffarata e tumultuosa, che insegue il mito dell'efficienza ad ogni costo e della reperibilità ad ogni ora? È davvero il torpore il nostro problema?


Il Signore Gesù aiuta i suoi discepoli a diventare «consapevoli del momento» (13,11) che vivono riferendosi al racconto simbolico di Noè e del diluvio universale. A quel tempo c'erano molti uomini e donne che conducevano una vita normale: «mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito» (Lc 24,38). Nulla di male; tutta brava gente. Peccato che «venne il diluvio e non si accorsero di nulla» (24,39)!


La stessa cosa avvenne quando il Figlio di Dio nacque a Betlemme: tranne alcuni poveri (Maria, Giuseppe, i pastori), nessuno era pronto o disponibile a riconoscere lo straordinario avvenimento. Così – continua il Maestro Gesù – sarà anche nel giorno della «venuta del Figlio dell'uomo» (24,39): uno sarà preso e l'altro lasciato; uno sorriderà, l'altro piangerà. Ma così è anche ora perché «la notte è avanzata, il giorno è vicino» (Rm 13,12).


Il Signore è venuto, il Signore verrà, il Signore viene. Ma noi non ce ne accorgiamo! Ci siamo così abituati a dirci e ad essere cristiani che abbiamo smarrito lo stupore per il fatto che Dio ci abbia definitivamente rivelato il suo volto. Ci siamo così coinvolti in questo splendido mondo che Dio ci ha affidato che abbiamo perso la capacità di avere una «visione» (Is 2,1) sul suo ultimo destino. Abbiamo smarrito la capacità di sognare, come invece sa fare quel pazzo di Isaia che vede in Gerusalemme il segno profetico di quella pace universale che Dio sta faticosamente costruendo insieme a noi: «Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un'altra nazione, non impareranno più l'arte della guerra» (2,4).


L'avvento è un invito a riaprire gli occhi del cuore e a ritrovare fiducia nel sogno di Dio per l'umanità, mettendoci accanto a lui per leggere dentro il volto della storia e dei fratelli. Il Signore non vuole spaventarci, ma scuoterci dal torpore. Ci dice con molta franchezza che, se non ci svegliamo adesso, domani lo incontreremo come un temibile ladro e non come uno sposo: «Perciò anche voi tenetevi pronti, perché, nell'ora che non immaginate, viene il Figlio dell'uomo» (Mt 24,44).


Stare pronti significa concretamente comportarsi «onestamente» (Rm 13,13), come se fosse «pieno giorno» (13,13) gettando via «le opere delle tenebre» e indossando «le armi della luce» (13,12). Costruire spazi di umanità, relazioni buone e giuste. Indirizzare ogni energia per scelte eque, solidali, fraterne. Assumere atteggiamenti onesti e decisioni coraggiose in un mondo abituato a vivere quotidianamente «in mezzo a orge e ubriachezze fra lussurie e impurità, litigi e gelosie» (13,13). Diventare forse un po' ridicoli, come quel silenzioso antidiluviano che, sotto il sole e in mezzo all'indifferenza, levigava e inchiodava assi di legno per costruire un luogo di salvezza. Antidiluviani e ridicoli, ma rivestiti di dignità. Rivestiti «del Signore Gesù Cristo» (13,14).


Un mese. Poco meno di un mese. Dura poco l'avvento! Tuttavia è l'occasione per alzarci e andare «con gioia incontro al Signore» (salmo responsoriale). Tanto il Signore viene. È il suo mestiere, lo fa sempre e volentieri. Noi, piuttosto, ci stiamo svegliando o stiamo ancora dormendo?


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