Mercoledì - XXX settimana del Tempo Ordinario

Letture: Rm 8,26-30 / Sal 12 / Lc 13,22-30


PENSIERO DEBOLE



Ci sembra di conoscere molte cose. Talvolta crediamo persino di aver sufficientemente capito noi stessi e anche il Signore. Purtroppo – o fortunatamente – è la vita stessa a smascherare questa ingenua convinzione, come accadde a quel «tale» che un giorno chiese al maestro Gesù: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?» (Lc 13,23).


Dentro questo punto di domanda non è difficile scorgere l’egoistico tentativo di essere considerati speciali, la malcelata speranza di appartenere al piccolo gregge degli eletti. Molte volte emerge così, dalle nostre parole e dai nostri pensieri, la brutta e piccola opinione che abbiamo nei confronti di Dio e della sua salvezza. «Abbiamo mangiato e bevuto» (13,26) alla presenza del Signore risorto tante volte, eppure non conosciamo a fondo il suo cuore e il suo grande progetto di amore: «Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio» (13,29).


Non conoscere l’amore grande che Dio ha per noi e per ogni uomo significa portarsi dentro un bisogno inappagato, che viene facilmente intercettato dalle proposte della nostra società consumistica e trasformato nel desiderio (impossibile) di essere «i primi» (Lc 13,30), ammirati e unici. Potremmo addirittura dire che, attorno a questo bisogno di riconoscimento che fa gola ad ogni venditore di felicità, si muove l’economia mondiale.


Rendersene conto è già qualcosa. Ma la riflessione dell’apostolo ci rivela qualcosa di più, quando ci ricorda che questa pericolosa ignoranza è in qualche modo soccorsa da Dio. Infatti noi «nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare» (Rm 8,26), ma «lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza» intercedendo «per noi, con gemiti inesprimibili» (8,26). La nostra debolezza consiste nell’avere un pensiero superficiale, che ci fa desiderare doni effimeri e ci impedisce di vivere liberi dai nostri blocchi e dalle nostre paure. Non riusciamo a visualizzare «i disegni di Dio» (8,27) e a riconoscerci come quelli «che egli da sempre ha conosciuti», «predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo» (8,29).


Quando ci trinceriamo dietro a questo pensiero debole, il Signore non può che rispettare la nostra libertà che gli impedisce di conoscerci, cioè di amarci: «Non vi conosco, non so di dove siete» (Lc 13,27). Ma lo Spirito che abita in noi «intercede con insistenza» (Rm 8,26) perché «scruta i cuori» e «sa quali sono i desideri dello Spirito» (Rm 8,27).


Abbandonarsi a questo ospite interiore significa pregare. Imparare ad ascoltare i suoi «gemiti» è il principio della nostra nuova e vera vita. Quella dei figli di Dio.


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