Martedì - XXV settimana del Tempo Ordinario

Letture: Esd 6,7-8.12.14-20 / Sal 121 / Lc 8,19-21

IL NUOVO TEMPIO



Dopo il lungo esilio in Babilonia, i «rimpatriati» (Esd 6,20) tornati a Gerusalemme si impegnano con ogni energia nella riedificazione della «casa di Dio» (Esd 6,16). Ma i lavori di ricostruzione vengono interrotti a causa dell’opposizione dei samaritani, quella porzione del popolo ebraico che non era stato deportata e non si era mescolata con le popolazioni pagane sopraggiunte in Palestina durante il tempo dell’esilio.


È bello ritornare a casa! Allarga il cuore la speranza di poter ristabilire ciò che è stato distrutto. La vita ci offre spesso questa opportunità di un nuovo inizio; e il nostro animo si solleva pieno di ottimismo e fiducia. Ma dopo questo iniziale momento nel quale si riparte «con gioia» (Esd 6,16), non mancano mai le difficoltà e gli ostruzionismi.


La ricostruzione ci chiede sempre la capacità di riconoscere e affrontare gli inevitabili ostacoli che si pongono sul cammino. Innanzitutto quelli esterni, persone o situazioni che avvertono come minaccia il cambiamento che noi vorremmo operare nello spazio condiviso. È il caso dei samaritani, che temono l’insediamento sociale, religioso e politico dei deportati in Babilonia. Ma esistono anche ostacoli interni, cioè tutte quelle resistenze al nuovo che dentro di noi ci impediscono di dedicarci con piena libertà alla costruzione di una nuova realtà.


Il Vangelo documenta qualcosa del genere, raccontandoci il celebre passo in cui il Signore Gesù annuncia la qualità e la novità del tempio che Dio ha ormai deciso di costruire, attraverso il mistero dell’Incarnazione.


I legami di parentela naturale sono ormai radicalmente superati da una possibilità di relazione fondata sulla «parola di Dio» e sulla sua messa «in pratica» (Lc 8,21). I segni esteriori che nei tempi antichi hanno garantito ad Israele la stabilità del rapporto con Dio (la terra, l’etnia, il tempio, il culto, ecc.) cedono il posto ad un segno meno visibile e più profondo. Risponde Gesù a coloro che gli annunziano la visita di sua «madre» e dei suoi «fratelli» (Lc 8,20): «Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (Lc 8,21).


Questo è il nuovo tempio, che noi cristiani possiamo ricominciare a costruire ‘sempre e in ogni luogo’: la fraternità universale fondata sulla promessa del Vangelo e sul sangue di Cristo. A questo nuovo e definitivo sogno di Dio partecipiamo nella misura in cui entriamo in una comunione profonda con il Figlio. Questa comunione si attua mettendo in pratica la parola che egli ci rivolge e che ci spinge a dare la vita per i fratelli.


Fecero così i nostri fratelli maggiori: «continuarono a costruire e fecero progressi» (Esd 6,14) e «celebrarono con gioia la dedicazione di questa casa di Dio» (Esd 6,16). Lo fecero «per tutti» «per i loro fratelli» e «per se stessi» (Esd 6,20).


Non per altri motivi, anche noi oggi possiamo prendere i nostri quattro mattoni e affrontare la fatica di rimanere nel cantiere di Dio per edificare il suo possibile e meraviglioso progetto.


Una casa dove gli uomini sono fratelli e Dio è il padre di tutti.


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