Mercoledì - XIII Tempo Ordinario

Letture: Gen 21,5.8-20 / Sal 33 / Mt 8,8-34


UN BENE NON BANALE



Non solo la fede, anche il bene non è banale; l’esperienza ce lo avrà già insegnato! Non è semplice rendere felici gli altri, come non è affatto scontato essere felici dopo aver fatto il bene. Ci accorgiamo, con amarezza, che per fare il bene e per accoglierlo ci vuole una certa purezza di cuore che sempre un po’ ci manca. Dio fa il bene e, possiamo immaginare, sia felice di farlo. Ma per noi è un problema riconoscere il bene e, soprattutto, accettarlo. Questo mi sembra sia il messaggio di fondo che le Scritture ci rivolgono.


Quando ormai le speranze di avere una discendenza sembrano svanire, «il Signore visitò Sara come aveva detto, e fece a Sara come aveva promesso» (Gen 21,1). Così «Sara concepì e partorì ad Abramo un figlio nella vecchiaia, nel tempo che Dio aveva fissato» (Gen 21,2). Abramo era ormai un vecchio «quando gli nacque il figlio Isacco» (Gen 21,5): aveva «cento anni» (Gen 21,5)! Dio dunque resta fedele alle sue promesse e, quando i tempi sono maturi, offre all’uomo i suoi regali. Ma l’uomo ha paura e teme che questo bene ricevuto possa in qualche modo essergli tolto. Sara vede in Ismaele, il figlio nato dalla schiava, un temibile avversario del frutto del suo grembo. Dice allora ad Abramo: «Scaccia questa schiava e suo figlio, perché il figlio di questa schiava non deve essere erede con mio figlio Isacco» (Gen 21,10). Agar se ne va con il figlio nel deserto, dove viene presa dallo scoraggiamento, perché l’acqua e il cibo scarseggiano. Si siede sfinita e depressa senza accorgersi che «un pozzo d’acqua» (Gen 21, 19) sta accanto alla sua povertà, fino a quando «Dio le aprì gli occhi» (Gen 21,19).


Siamo così, come Agar: travolti dalla tristezza e dallo scoraggiamento al punto che non ci accorgiamo di avere un soccorso vicino, a pochi passi. Mentre le lacrime e la tristezza ci invadono, non riconosciamo i sentieri di vita che restano accanto a noi. Altre volte invece assomigliamo più a Sara: di fronte ad un bene ricevuto ci inventiamo un male per difenderlo, per paura di perderlo. E Dio non ci ferma, continua a svolgere il suo lavoro di Padre.


Anche il Vangelo ci attesta questa difficile attuazione del bene. Il Signore Gesù si avvicina a due non-vite che stanno nei «sepolcri», «due indemoniati» (Mt 8,28) i quali cominciano a gridare: «Che cosa abbiamo noi in comune con te, Figlio di Dio? Sei venuto qui prima del tempo a tormentarci?» (Mt 8,29).


Non facciamo i salti di gioia davanti al medico, nemmeno quando questo medico è Dio e la guarigione è la nostra salvezza! La rimozione del male è un miracolo gratuito perché lo compie Dio, ma costoso perché ci chiede di rinunciare ad alcune cose a cui abbiamo legato i nostri interessi. Come ad esempio i «porci», occasione di lavoro e di guadagno, che «tutta la città» dei Gadarèni stima più importanti della vita umana. Gli abitanti della città preferiscono allontanare il Signore piuttosto che il male: «lo pregarono che si allontanasse dal loro territorio» (Mt 8,34).


Non è facile per Dio farci il bene. Gli mettiamo molti bastioni tra le ruote! Che fare allora? Almeno due cose, mi pare.


Anzitutto pregare un po’ oggi, per vedere se magari c’è dell’acqua vicino a noi. Dissetandoci potremo essere più miti e pacifici verso i fratelli.


E poi pregare meglio, valorizzando quelle parole che siamo abituati a dire nel Padre nostro: «ma liberaci dal male». Le ripetiamo ogni giorno, ma non le crediamo sempre. Molte situazioni tossiche e dolorose rimangono un intralcio nel nostro cammino perché non vogliamo che il Signore ce ne liberi. Lasciamo che lo Spirito Santo convinca il nostro cuore. È in suo potere farlo!


Abbandoniamoci...


Commenti

Anonimo ha detto…
Leggendo le tue parole mi sono soffermato sulla dificcoltà a fare del bene.

Penso che a volte sia difficile fare del bene ed esserne contento perchè talora non lo faccio solo per la persona che ho di fronte, ma perchè spero di ricevere un grazie che non arriva o forse arriva in maniera diversa da quanto io mi aspettassi e ne resto deluso.

Ecco allora che mi richiudo a riccio perchè inizio ad interpretare quella risposta magari travisandone il significato.

Ho appena finito di rispondere ad un test per lavoro e devo dire che spesso tra le frasi che dovevo indicare essere più o meno pertinenti al mio carattere ho indicato che non ho molta fiducia nelle persone.

Prego quindi di riuscire ad abbandonarmi ad avere maggiore fiducia nel prossimo per poter dare e ricevere il bene senza più preoccuparmi delle ragioni per cui farlo o riceverlo e sentirmi in pace con coloro che mi circondano e senza più timore di perdere qualcosa o di sprecarlo.

Mimmo
Anonimo ha detto…
Tante volte nel nostro modo di dare c'è sempre un sottofondo di egoismo, ma in buona fede noi crediamo di voler veramente bene a quella persona che stiamo aiutando..
Forse è meglio aprire gli occhi per vedere veramente quello che c'è in fondo ad ogni nostro gesto .. abbandonarmi e affidarmi penso sia questo il compito essenziale nella mia vita che sono certa prima o poi mi porterà la vera pace.
E solo in quel momento riconoscerò la Mano del Signore.