Martedì della V settimana di Pasqua

Letture: At 14,19-28 / Sal 144 / Gv 14,27-31


PACE


Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore» (Gv 14,27, traduzione CEI); «Non vi preoccupate, non abbiate paura» (traduzione TILC); «Non si turbi il vostro cuore e non si abbatta» (traduzione San Paolo).


Quante volte abbiamo ripetuto o ascoltato nella nostra vita parole simili. Frasi di conforto pronunciate per un amico in difficoltà, che aveva bisogno di essere sostenuto e confortato in un momento di crisi. Parole ascoltate nei nostri momenti di fallimento e di disperazione, che spesso hanno risuonato tanto affettuose quanto lontane, incapaci di regalarci un effettivo sollievo. Anche Gesù le ha pronunciate, quando si è accorto che il momento era davvero difficile per i suoi discepoli e «la tristezza aveva riempito il loro cuore» (cf Gv 16,6). E lo ha fatto, come suo solito, non facendo soltanto un bel discorso, ma accompagnando la parola con un singolare dono: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace» (Gv 14,27). Il Signore comanda ai suoi amici di non abbattersi solo dopo avergli assicurato il dono della pace, la promessa di felicità che la fede di Israele associava ai tempi messianici, predetta dai profeti, sospirata dalle genti.


Tuttavia, precisa immediatamente il Maestro, si tratta di una pace speciale, «non come la dà il mondo» (Gv 14,27). Per il mondo – per noi quindi – la pace è l’intervallo tra una guerra e un’altra, ‘dura fino a quando il vincitore può imporsi e il vinto non può ribellarsi’ (S. Fausti). La pace di cui siamo capaci, con le nostre deboli e umane forze, è al massimo un prezioso e auspicabile intervallo, tra un dolore e una tristezza. Di più non siamo in grado di garantire. La pace di Gesù è diversa, nasce da un amore più forte della morte, che non ha timore di essere sconfitto. È la pace di chi rinuncia ad ogni forma di aggressività e di violenza, perché accetta di consegnarsi, esponendosi al rifiuto e al fallimento. È la pace che Gesù ha nel cuore durante l’ultima cena, mentre fa questo discorso ai discepoli. Questa pace è la forza che lo accompagnerà fino al Golgota, che lo sosterrà in tutta la passione. Non è dunque l’assenza di dolore, tristezza, angoscia. Anzi! È esattamente la capacità di «attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio» (At 14,22). È la pace che hanno conosciuto e vissuto gli apostoli, come Paolo che a forza di «sassate» (At 14,19) ha compreso che Dio aveva deciso di aprire «ai pagani la porta della fede» (At 14,27). Allora ha cominciato a rivolgere a loro «la parola della verità» (Ef 1,13), il «vangelo di Cristo» (Rm 15,19).


Quando abbiamo questa pace nel cuore «nessuno potere» può disporre di noi, niente e nessuno può strapparci la vita, nemmeno «il principe del mondo» (Gv 14,30), perché noi l’abbiamo già donata. Quando questa pace abita dentro di noi, non dobbiamo temere «coloro che uccidono il corpo e dopo non possono far più nulla» (Lc 12,4), possiamo agire ed essere riconosciuti come «figli di Dio» (Mt 5,9).


Però, noi quale pace stiamo cercando?

Quale pace siamo disposti ad operare?

Quale pace sappiamo donare agli altri?


Commenti

Unknown ha detto…
Carissimo Roberto,
sono d’ accordo con te quando scrivi che la pace “non è l’ assenza di dolore, tristezza, angoscia”. Sul tema dell’ angoscia mi sembra molto vera la seguente frase, tratta dal romanzo di Georges Bernanos “Diario di un curato di campagna”: «Sempre più sono persuaso che ciò che chiamiamo tristezza, angoscia, disperazione, come per inclinarci a credere che si abbia a che fare con alcuni movimenti dell’anima, sia invece quest’anima stessa, e che, dopo la caduta, la condizione dell’uomo sia tale che egli non sappia percepire più nulla di sé, e fuori di sé, se non sotto forma di angoscia». Partendo da questa affermazione, concludo che l’ angoscia costituisce l’ ambiente mentale/spirituale standard in cui l’ uomo si muove durante la sua esistenza terrena. Questa sarebbe condannata all’ infelicità, se non ci fosse la possibilità di “lavare le nostre vesti rendendole candide col sangue dell'Agnello” (Ap 7, 14). Il sangue dell’ Agnello è il “comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri.” (Gv 13, 34). Se riuscissimo a conformarci a Cristo, potremmo dire con Paolo “Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?” (Rm 8, 35).
Spero davvero che il Signore si accontenti anche soltanto dell’ intenzione di seguirlo, che qualche volta riesco a balbettare nel mio cuore.

Michele
Anonimo ha detto…
Grazie fra Roberto per avermi chiarito così bene il concetto di pace. Io la intendevo proprio come l'hai descritta tu:"al massimo un prezioso e auspicabile intervallo tra un dolore e una tristezza."
Visto che ogni giorno ha la sua croce, le sue ansie, le sue preoccupazioni, le sue angoscie, trovare la pace mi era proprio difficile.
Con il tuo scritto ho capito che la pace e la sofferenza non sono più termini separati, stanno insieme e convivono come Gesù ha la pace nel cuore durante l'ultima cena...Come Gesù ha la pace quando sale verso il Golgota...
Quale pace stiamo cercando noi?
Io cerco la pace interiore, la pace dell'anima che nasce dalla consapevolezza di essere figlia di Dio. Se questa pace vive realmente dentro di noi ci trasforma la vita, ci fa sentire nella gioia e glorifica il Signore.

Lucia