Giovedì della VI settimana di Pasqua

Letture: At 18,1-8 / Sal 97 / Gv 16,16-20

ANCORA UN POCO

Conviene o non conviene? Ancora «un poco» dice il Signore Gesù ai suoi discepoli (cf Gv 16,16.17.18.19)! Occorre pazienza nella fede. Quintali, tonnellate di pazienza sono necessari per entrare nelle profondità dello Spirito, per conoscere il mistero della nostra vita che viene da Dio.


Paolo, dopo l’audace tentativo di evangelizzazione nella grande Atene, comprese la necessità di attendere e lasciar maturare i tempi. Infatti «si recò a Corinto» e qui «trovò un giudeo chiamato Aquila» insieme alla «moglie Priscilla»; «si stabilì nella loro casa e lavorava» (cf At 18,1-3). Paolo desiderava fortemente condividere la scoperta della grazia di Dio con i suoi connazionali. Pertanto si dedicava alla predicazione con ogni energia «affermando ai Giudei che Gesù era il Cristo» (At 18,5). Ma alla fine si arrese all’evidenza del rifiuto, poiché «essi gli si opponevano e bestemmiavano». E comprese, a forza di insuccessi e di fallimenti, che la sua vocazione era quella di annunciare il Vangelo di Dio ai lontani: «D’ora in poi io andrò dai pagani» (At 18,6). Paolo scoprì a sue spese la necessità di aspettare «ancora un poco» per poter vedere e ritrovare la presenza del Signore dentro la storia. La maturazione di questa coscienza avvenne senz’altro all’interno di una cocente «afflizione», che solo la grazia di Dio poté cambiare «in gioia» (Gv 16,20).


Bisogna imparare ad attendere perché non si può violare la libertà dell’altro. Il Vangelo è notizia di amore, non passaggio di informazioni. La proposta di amore da parte di Dio si nutre proprio di libertà, altrimenti non sarebbe più amore, ma proselitismo o indottrinamento.


«Un poco» per il Signore è una misura obbligatoria, da accettare, da assicurare sempre. Noi invece «non comprendiamo quello che vuole dire», esattamente come i discepoli, che dicevano: «Che cosa è mai questo ‘un poco’ di cui parla?» (Gv 16,18). Perché siamo meno abituati ad amare. O quantomeno lo facciamo in un modo diverso, meno gratuito e meno pieno.


Questo atteggiamento ci impedisce sovente di capire cosa sta succedendo alla nostra vita, dove si sta muovendo il suo corso. Cadiamo in un acuto silenzio quando le immagini che ci hanno rallegrato il cuore scompaiono come bolle di sapone che esplodono nell’aria, quando le promesse svaniscono, i sogni non si realizzano.


Non ci resta che attendere «un poco» ancora, stringendo dolcemente tra le mani quell’incomprensibile afflizione che è nostra e, nelle più grandi mani di Dio, può trasformarsi in gioia.




Commenti

Unknown ha detto…
Carissimo fra Roberto,
prendo spunto dalle tue riflessioni iniziali in cui spieghi come Paolo frenò il suo grande desiderio di evangelizzare nella grande Atene in quanto, dopo grandi insuccessi, capì di attendere “ancora un poco”.
Nella vita di tutti i giorni, ora che mi sento più forte nella fede, mi piacerebbe portare la mia esperienza cristiana a chi non la conosce o addirittura la rifiuta. Ma come Paolo resto delusa, amareggiata e presa dallo sconforto quando mi accorgo che le mie parole non lasciano alcun segno o, al contrario, mi trovo di fronte a chi, con fierezza, sbandiera la sua esperienza di vita lontano da Dio.
Grazie fra Roberto che con le tue parole mi fai capire quanta pazienza è necessaria per far entrare il Signore nella storia di tutti noi.

Giovanna