Martedì della V settimana - Tempo di Quaresima

Letture: Nm 21,4-9 / Sal 101 / Gv 8,21-30

IN ALT(R)O

Mentre il cammino quaresimale volge ormai al suo culmine, la parola di Dio ci introduce senza più tentennamenti nel cuore drammatico della Passione di Cristo. Soprattutto le pagine del Vangelo di Giovanni – che ci conducono fino alle soglie della Settimana Santa – rivelano la forte opposizione che la tenebra umana è capace di manifestare di fronte all’incedere libero e coraggioso della luce di Dio. Il maestro Gesù prova a portare alla luce il problema dei suoi fratelli Giudei: «Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato» (Gv 8,21). Il messaggio è piuttosto chiaro, eppure non viene recepito; dicevano infatti i Giudei: «Forse si ucciderà»! (Gv 8,22).

Ecco un’altra terribile icona della nostra incapacità a convertirci. Mentre Dio ci rivela la sua scelta di morire per il nostro inguaribile peccato, noi crediamo che voglia uccidersi, per nulla convinti di essere bisognosi di tanta guarigione. Perché questa sordità nel nostro cuore? Perché questa incapacità ad ascoltare parole di amore e di salvezza?

Una certa luce promana dal racconto del libro dei Numeri. Il popolo in cammino verso la terra promessa comincia a non sopportare più «il viaggio» (Nm 21,4), teme di «morire in questo deserto», nel quale «non c’è né pane né acqua» (Nm 21,5). Allora ecco che il Signore manda serpenti velenosi a mordere la gente, «e un gran numero di Israeliti morì» (Nm 21,6). Non è forse una metafora perfetta del nostro esodo esistenziale?

Anche noi, a metà del viaggio della vita, cominciamo ad essere «nauseati» (Nm 21,5) e stanchi e iniziamo a gustare la morte per i nostri «peccati» (cf Gv 8,24). I serpenti, che il Primo Testamento fa strisciare ai piedi del popolo in cammino, sono riconducibili alle menzogne presenti nel nostro cuore, che corrompono la fiducia in Dio e la nostra dignità di figli amati. Infatti il serpente è «colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra» (Ap 12,9), il «padre della menzogna» (Gv 8,44). A causa di queste menzogne, che alimentano le paure, i sensi di colpa e di inadeguatezza, camminiamo spesso con il capo chinato verso il basso, stando bene attenti a dove metteremo il prossimo passo. Ma la salvezza sta in alto, non in basso: «Mosé allora fece un serpente di rame e lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di rame, restava in vita» (Nm 21,9). Il nostro destino non è precipitare sempre più in basso, là dove stanno i nostri peggiori incubi, ma sollevare gli occhi in alto dove ci attende il mistero di un amore gratuito e infinito. Dice il Signore Gesù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io sono» (Gv 8,28).

Sollevando gli occhi verso il segno della croce, che spesso teniamo addosso o vicino quasi come un amuleto, possiamo accorgerci che tutto il male e la violenza che sta dentro di noi è accolta e assorbita dal Figlio di Dio. Nella sua silenziosa sconfitta possiamo riconoscere l’amore che non ci giudica. Un amore diverso dal nostro. Un amore divino.


Allora, solo allora, si compiono per noi le Scritture. Allora siamo disposti a riconoscerci peccatori, davanti ad un Dio che rimane in alto a mostrarci i segni della sua misericordia infinita per noi. Solleviamo dunque i nostri occhi tra le fatiche e le gioie di questo giorno. In alto... In Altro!


Commenti

Anonimo ha detto…
E bravo il carissimo Roberto; d'altra parte "frati non foste a viver come bruti ma per seguir vertute e conoscenza"
seguiro' anche il Blog con cura !