Martedì – II settimana di Avvento
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Secondo Isaia la consolazione che il Signore è pronto e desideroso di offrire alla nostra umanità, sempre in esilio da un’esistenza pienamente felice e pacificata, non può che essere un grido. Non perché ci sia bisogno di urlare per dire cose belle, ma perché i nostri sensi di colpa e la nostra rassegnazione rimbombano così forte nel nostro cuore da renderci sordi al suono di altre, buone notizie.
«Consolate, consolate il mio popolo — dice il vostro Dio.
Parlate al cuore di Gerusalemme
e gridatele che la sua tribolazione è compiuta, la sua colpa è scontata,
perché ha ricevuto dalla mano del Signore
il doppio per tutti i suoi peccati» (Is 40,1-2)
La vigilanza a cui siamo chiamati in questo periodo di Avvento consiste nel riguadagnare fiducia e speranza nei confronti della nostra storia. «Basta! Hai sofferto abbastanza! Hai già pagato a sufficienza per gli errori commessi»: questo sembra dire il profeta a ciascuno di noi, cercando di squarciare, con dolcezza, il grido della nostra tristezza e il muro della nostra indifferenza.
«Come un pastore egli fa pascolare il gregge
e con il suo braccio lo raduna;
porta gli agnellini sul petto
e conduce dolcemente le pecore madri» (40,11)
e conduce dolcemente le pecore madri» (40,11)
La minuscola parabola di Gesù segnala però un problema, attraverso la forma ipotetica del linguaggio. Dio non ha altro desiderio se non salvarci per introdurci in una vita piena. La sua unica difficoltà sembra purtroppo essere quella di incontrarci, là dove noi non vorremmo mai essere incontrati: nel nostro essere piccoli e smarriti.
«Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce,
non lascerà le novantanove sui monti
non lascerà le novantanove sui monti
e andrà a cercare quella che si è smarrita?
In verità io vi dico: se riesce a trovarla,
In verità io vi dico: se riesce a trovarla,
si rallegrerà per quella
più che per le novantanove che non si erano smarrite» (Mt 18,12-13)
più che per le novantanove che non si erano smarrite» (Mt 18,12-13)
Dio non può che lasciare tutto per venire a cercarci perché egli sa bene che quando siamo – e sembriamo – perduti, in realtà, siamo «ingannati» sulla direzione di marcia. Per questo viene a cercarci, senza alcuna esitazione. Pronto a gioire non appena le nostre strade riescono nuovamente a incontrarsi. Che cosa ce ne pare: riuscirà il pastore buono a trovarci? Sapremo concedere, oggi, a Dio questa semplice, immensa gioia?
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