XXVIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno C
In questa domenica sono gli stranieri ad ammaestrarci nel cammino della fede. Le Scritture attestano come in loro si possa manifestare una più naturale capacità di provare ed esprimere la gratitudine, rispetto a chi — non sentendosi pellegrino e forestiero — si è abituato a ricevere senza dire grazie. Senza più gustare la gioia di fermarsi e sprecare del tempo per sorridere ed esprimere la gratitudine.
Uno di loro, vedendosi guarito,
tornò indietro lodando Dio a gran voce,
e si prostrò davanti a Gesù,
ai suoi piedi, per ringraziarlo.
Era un Samaritano (Lc 17,15-16)
Mentre gli altri nove sono stati purificati, questo abitante della regione di Samaria si riconosce addirittura guarito. Per questo, a differenza degli altri, non riesce a proseguire il suo cammino senza prima essersi voltato per ringraziare. Non per forza, ma volentieri. Anzi, forse per rivedere colui che ha avuto pietà della sua vita, senza essere in alcun obbligo di pietà nei suoi confronti. Questo atteggiamento, di gratuita gratitudine è definito da Gesù come il più bel modo di credere.
«Àlzati e va’;
la tua fede ti ha salvato!» (17,19)
Forse è proprio questo il senso — più — profondo della parola che Dio ci rivolge in questa domenica. La fede, che si esprime nella gratitudine, può giungere a esprimersi persino nella gratuità. Si può infatti ringraziare per tanti motivi — soprattutto quando si è ricevuto qualcosa di bello e di grande — ma esiste anche la possibilità di ringraziare per nessun motivo, se non per la gioia di farlo. Per questo motivo, Elisèo appare così determinato nel rifiutare il dono di Naamàn, dopo avergli dato occasione di guarire dalla sua lebbra.
Quello disse: «Per la vita del Signore,
alla cui presenza io sto, non lo prenderò».
L’altro insisteva perché accettasse,
ma egli rifiutò (2Re 5,16)
Creati a immagine dell’amore di Dio, siamo tutti invitati — dalla realtà e dalla vita attorno a noi — a ricordarci di Gesù Cristo, risorto dai morti, fino a diventare, anche noi, capaci di una gratuità piena e spontanea. Di questo, infatti, abbiamo soprattutto bisogno, per essere non solo purificati, ma anche guariti dalla lebbra dell’egoismo e dell’individualismo, per la quale soffriamo tutti fino a portare le catene della solitudine. Di tornare — indietro — a vivere come uomini e donne senza inutili pretese e senza ingannevoli diritti. Ma capaci di provare — gratuita — gratitudine per tutto ciò che possiamo fare o ricevere. Questo modo di vivere è un’autentica passione d’amore, che ci spoglia prima di riempirci di eterna dolcezza. Fortunatamente è l’unico destino che abbiamo. Dio non cambia il suo progetto.
Questa parola è degna di fede:
Se moriamo con lui, con lui anche vivremo;
se perseveriamo, con lui anche regneremo;
se lo rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà;
se siamo infedeli, lui rimane fedele,
perché non può rinnegare se stesso (2Tm 8,11-13)
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