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Giovedì – XXII settimana del Tempo Ordinario
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L’inno alla stoltezza di Paolo — nel quale è tuttavia necessario saper riconoscere un ben più profondo invito alla sapienza di Dio anziché a quella di questo mondo — rischia di essere una provocazione pericolosa per noi, oggi. Intercettando la nostra fatica a coniugare la tensione verso le cose celesti a cui siamo protesi con quella, altrettanto necessaria, verso le cose terresti, nelle quali la nostra vita è immersa, le parole dell’apostolo corrono il rischio di farci giocare una vita credente al ribasso, dove il mondo e Dio tornano a essere concorrenti.
«Se qualcuno tra voi si crede sapiente in questo mondo,
si faccia stolto per diventare sapiente,
si faccia stolto per diventare sapiente,
perché la sapienza di questo mondo
è stoltezza davanti a Dio» (1Cor 3,18-19)
è stoltezza davanti a Dio» (1Cor 3,18-19)
Per fortuna il finale dell’esortazione è tutto al rialzo e al rilancio e ci aiuta a comprendere che chi fa un’esperienza vera e profonda della Pasqua di Gesù Cristo non ha più paura di dover conquistare il mondo per essere felice. Più semplicemente si preoccupa di non perdere nulla dell’incalcolabile tesoro di doni e di grazie destinate a chi scopre di essere figlio di Dio, cioè erede di tutto e di tutti.
«...il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro:
tutto è vostro!
tutto è vostro!
Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (3,22-23)
La vera questione non è possedere, ma entrare nel gioco — libero e liberante — di possedere nella misura in cui si è posseduti, in un circuito di amore dove nessuno detiene nessuno, ma ciascuno sperimenta la gioia di poter godere dell’altro senza alcun bisogno di trattenerlo o di costringerlo. I primi discepoli attestano questa felice scoperta, insieme a tutta la difficoltà di crederla e accoglierla. Anche il Signore Gesù rialza e rilancia, impedendo al suo sguardo d’amore di far affondare la barca della nostra vita, per condurla invece al largo.
«Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini» (Lc 5,10)
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